Arabia, inizio del XX secolo. Nesib, emiro di Hobeika, dopo aver sconfitto il rivale Amar, sultano di Salmaah, ha preteso in garanzia della pace i due figli del nemico, oltre a una striscia di terra (la Striscia Gialla) a fare da cuscinetto tra i due regni. Quando però, quindici anni dopo, proprio lì viene individuato un giacimento di petrolio, Nesib è pronto a rompere il trattato per ricavare le ricchezze necessarie a modernizzare il suo paese. Sarà il principe Auda, il più giovane e apparentemente meno “guerriero” dei figli di Amar, a giocare un ruolo fondamentale nel confronto tra i due emiri, contrapposti da una differente visione del rapporto con gli occidentali e la modernità.,Fa una certa impressione leggere la sfilza di “nomi” coinvolti in questa operazione epico-didascalica messa in piedi dal produttore tunisino Tarak Ben-Ammar insieme all’istituto cinematografico del Qatar.,Intanto perché a recitare i ruoli principali, tutti arabi, sono in realtà attori di tutt’altra nazionalità: Banderas, spagnolo, Mark Strong, britannico e Freida Pinto, indiana, abbonata però ai ruoli di bella statuina vagamente esotica come nel recente Immortals. A garantire il pedigrée arabo basta forse il protagonista Tahar Rahim (fattosi notare con Il profeta) e un certo numero di comprimari (come il brillante Riz Ahmed di Four Lions). Straniero, francese, è anche il regista, che tuttavia ha nel curriculum altre produzioni “esotiche” come Sette anni in Tibet o Due fratelli. ,Tanto dispiego di connessioni internazionali, del resto, è perfettamente in linea con l’orizzonte di tutta l’operazione che, ripercorrendo in modo largamente romanzato i passi della formazione del regno dell’Arabia Saudita, mira a normalizzare e legittimare una certa visione della saga del petrolio, che sottolinei la “ragionevolezza” di alcuni rivendicazioni arabe (“essere un arabo è essere un cameriere al banchetto del mondo” dice l’emiro Nesib) ma anche le spinte “riformatrici” di un nuovo Islam aperto all’occidente e alla modernità.,Peccato che il risultato finale, da alcuni incautamente paragonato addirittura a Lawrence d’Arabia, rischi di risultare deludente sia sul piano del ritmo del racconto che su quello di una reale comprensione della situazione raccontata, per non parlare del vago fastidio per il non troppo sottile effetto spot filo-islamico.,La scarsa definizione dei personaggi (alcuni secondari appaiono e scompaiono a piacimento, cosa che capita, per la verità anche con il personaggio di Mark Strong, che però fortunatamente compensa in carisma la mancanza di approfondimento) e la confusione delle motivazioni (il conflitto tra istanze di modernizzazione, rigurgiti di conservazione quasi fondamentalista e generico mood anti-occidentale si sovrappongono nei vari campi), lungi dal dare il senso di una complessità che infine si riesce a decifrare producono un andamento del racconto a strappi. ,Indeciso tra il tono romantico (ma la storia d’amore tra Auda e Leyla, la figlia di Nesib, non è raccontata abbastanza perché possa appassionare) e quello, più sentito, del romanzo di formazione di un leader, Annaud presta alla pellicola la sua capacità di creare afflato epico, ma non riesce ad abbattere fino in fondo la barriera di una comprensione di eventi e personalità che vada oltre l’immediata lettura delle azioni.,Se non altro va detto che il film non prende nemmeno la strada di una facile quanto schematica demonizzazione degli Occidentali, portatori del disvalore del denaro e dell’avidità. I trivellatori texani, infatti, sono più che altro l’occasione per far scoppiare contrasti già presenti in nuce nella realtà araba.,Un’ultima precisazione, però, è d’obbligo: alla magniloquente glorificazione di un leader capace di unire fedeltà alla tradizione e istanze di modernità non si può del resto evitare di contrapporre la realtà tutta contemporanea di un paese come l’Arabia Saudita dove le donne solo tra qualche tempo avranno per la prima volta la possibilità di votare e a tutt’oggi devono andare in giro completamente coperte e senza la possibilità nemmeno di guidare un’auto…,Luisa Cotta Ramosino