Questo piccolo film indipendente è una piccola sorpresa della stagione cinematografica italiana. Presentato nella sezione “Orizzonti” alla 65° Mostra del Cinema di Venezia, è il lungometraggio d’esordio di Mirko Locatelli. Quello del solstizio d’inverno, evocato nel titolo, è il giorno dell’anno con il minor numero di ore di luce. Si può dire, assecondandone la metafora, che questo film sia ambientato nel punto di maggior distanza dal sole. Così appare la provincia brumosa e livida che gli fa da cornice, un luogo dello spirito più che geografico, una periferia dell’anima priva di precise connotazioni, soprattutto temporali (nel film non ci sono i computer e i cellulari), così da esaltare l’universalità del tema e della storia raccontata.,Valerio non ha amici, vive con la madre e con la sorellina piccola, è introverso e riottoso, a scuola sostituisce le lezioni dei professori con la lettura dei fumetti (“Martin Mystère”, a simboleggiare una fuga dal mondo reale). Vive con la natura un rapporto di silenziosa immersione e si trova a suo agio nell’acqua, andando in piscina a preparare gare di nuoto con i compagni di scuola che, nel luogo cameratistico per eccellenza – lo spogliatoio – gli fanno pesare di non essere attraente e brillante come loro. Con la scusa del nuoto, Valerio insegue un ideale di perfezione fisica che non gli appartiene, sfibrandosi con esercizi per potenziare i muscoli. Sarà proprio una prova di forza (in un mondo, quello degli adolescenti maschi, in cui sembrano sopravvivere riti tribali) quella a cui sarà chiamato per avere la meglio sui prepotenti che lo umiliano. ,Non sveliamo altro, soprattutto perché la sceneggiatura ha alcune finezze che riguardano il punto di vista dei personaggi in rapporto alle tematiche della storia, che vanno scoperte con la visione. Locatelli, anche sceneggiatore insieme a Giuditta Tarantelli, dice cose non banali sul disagio dell’adolescenza, di cui dà una visione dalle sfumature in grigio di nudo realismo (così che, lontano da ogni schema, per fare un esempio, non sempre i buoni sono le vittime e i cattivi i carnefici). Lontanissimo anni luce (anche e soprattutto per raffinatezza di scrittura e di messa in scena) dai vari Tre metri sopra il cielo e Come tu mi vuoi, rimanda però paradossalmente alla stessa domanda: nel film compaiono una madre, un insegnante di recitazione, un allenatore di nuoto, e si sentono le voci di diversi professori. Il mondo degli adulti e quello dei ragazzi però non vengono mai veramente in contatto (si vede benissimo in una bella scena in cui Valerio e sua madre, a pranzo, portano avanti ognuno il proprio discorso, senza ascoltarsi) ed è in questo dialogo tra sordi il vero nucleo tematico di quest’opera prima: la sottolineatura di un’emergenza educativa che sembra essere un tratto distintivo di questo inizio di secolo. Questo film non grida, non sposa una tesi, non addita e non piagnucola (italici vizi di certo cinema): è un pianto silenzioso che va saputo ascoltare. ,Raffaele Chiarulli,