Ne Il primo giorno della mia vita un uomo misterioso entra nelle vite di Napoleone, Arianna, Emilia e Daniele. Che cosa hanno in comune? I primi tre si sono suicidati, il quarto è in coma dopo averci provato: Napoleone, prima di questo estremo gesto, era un motivatore ricco e di successo; Arianna, una poliziotta molto scrupolosa che non ha superato la morte della figlia; Emilia, un’ex campionessa di ginnastica finita sulla sedia a rotelle dopo una caduta; Daniele, un bambino di dodici anni, bullizzato a scuola perché grasso ma nello stesso tempo youtuber di successo per volere del padre. L’uomo misterioso concede loro di stare insieme sette giorni per guardare alle loro vite e decidere se confermare il suicidio o ripensarci…

Con Il primo giorno della mia vita Paolo Genovese porta sullo schermo il suo romanzo omonimo del 2018, nell’intento di raccontare – come da lui stesso dichiarato – storie di seconde possibilità che la vita può regalare se le sappiamo cogliere. Un film, quindi, dall’intento ottimistico e propositivo. Il tema forte, che si impone sullo sguardo dello spettatore, è però  quello del suicidio; in questo Genovese dimostra coraggio nel raccontare una storia su un argomento così delicato ed estremo, lasciandosi alle spalle i toni da commedia anche amara di film quali Perfetti sconosciuti per entrare in atmosfere più cupe come quelle che lo stesso Genovese raccontò in The Place.

Il primo giorno della mia vita non lascia indifferenti, può indurre nello spettatore un certo turbamento e coinvolgimento nel seguire le vicende di Arianna (Margherita Buy), Emilia (Sara Serraiocco), Napoleone (Valerio Mastandrea) e Daniele (Gabriele Cristini). Accompagnati da questo uomo misterioso (Toni Servillo), che solo alla fine si scopre chi sia veramente, entriamo anche noi nelle loro vite e li vediamo lentamente rianimarsi in cerca di una speranza, fino al giorno finale in cui dovranno decidere se confermare la decisione di suicidarsi o meno. Il primo giorno della mia vita può contare, inoltre, su un cast molto ricco che Paolo Genovese dimostra di saper dirigere con bravura e che vede anche la presenza – tra gli altri – di Giorgio Tirabassi (Max, collega di Arianna), Elena Lietti (Greta, moglie di Napoleone), Donna (Vittoria Puccini, collega dell’uomo misterioso).

Tuttavia il film lascia anche un certo senso di insoddisfazione. La sceneggiatura è troppo costruita, quasi perfetta. Paolo Genovese, insieme a Paolo Costella, Rolando Ravello e Isabella Aguilar, ha costruito un meccanismo a orologeria in cui tutto deve tornare, a scapito dell’approfondimento psicologico dei personaggi, dei loro drammi e anche di un certo tipo di emotività che la storia avrebbe potuto generare. Non mancano frasi ad effetto quali «Vedere la vita senza di noi è doloroso sempre e non perché è bella o brutta, ma perché va avanti, va avanti comunque», oppure «Ci sono un sacco di persone nel vostro futuro che vi stanno aspettando, più o meno lontane nel tempo, ma sono lì», anche efficaci ma forse troppo studiate.  Molto belle le dinamiche che si instaurano tra Arianna (Margherita Buy è sempre brava) e il piccolo Daniele, ma se il personaggio di Sara Serraiocco a nostro avviso è il meno riuscito, su tutti si staglia Napoleone cui Valerio Mastandrea riesce a dare il giusto tocco di disperazione. È a lui che viene regalato giustamente il finale, che ci lascia con una domanda cui è impossibile dare una risposta: perché? Sono i confronti tra lui e il personaggio di Toni Servillo, che evocano La vita è meravigliosa di Frank Capra, i momenti più intensi di un film che ci fa interrogare sulla vita ma che avrebbe potuto andare più a fondo delle tante domande che apre.

Stefano Radice

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