Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage, il film segue le vicende di due fratelli, il misurato George e il prepotente Phil, proprietari di un ranch nel Montana degli Anni Venti del secolo scorso: quando George sposa la vedova Rose, Phil fatica ad accettare la convivenza con la cognata e con il suo problematico figlio adolescente.

In concorso di recente a Venezia78 e premiato con il Leone d’argento per la regia, Il potere del cane è l’ultima fatica dell’autrice neozelandese Jane Campion (suoi erano Bright Star del 2009 e il premio Oscar Lezioni di piano), che dopo dodici anni dedicati soprattutto alla serialità torna al cinema con un western “esistenzialista”.

Un grandioso Benedict Cumberbatch si cala mimeticamente nella parte del rozzo ma colto Phil, restituendone tutte le ruvidità e le sfaccettature psicologiche; non da meno sono i rapporti ambivalenti che instaura con i personaggi di Kirsten Dunst e del giovane Kodi Smit-McPhee (Alpha, The Road). La fotografia ariosa e la regia della Campion lasciano respirare – a volte a scapito del ritmo – uno spazio in trasformazione, tra il vecchio west machista e violento e un nuovo mondo che inizia faticosamente a farsi largo, con nuovi mezzi e aspirazioni.

The Power of The Dog, forse, non accompagna lo spettatore fino in fondo all’interessante direzione intrapresa, con alcuni passaggi bruschi che possono stonare all’interno di un film così misurato. Ma sono elementi che si perdonano volentieri in una trama ben orchestrata, con un elemento thriller che lentamente si insinua sottopelle. Quello della Campion è allora un felice ritorno sulle scene, con un’opera immersiva e sottile che ci porta in un western quantomai attuale. Al cinema e presto anche su Netflix.

Roberta Breda

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