In una giornata soleggiata, una festa di nozze sta avendo luogo presso una residenza di New York. Contemporaneamente, dentro casa, un uomo si rivolge con reverenza al padre della sposa: questi è don Vito Corleone, capostipite della famiglia più potente e temuta della città. Chi conosce e rispetta don Vito lo chiama “padrino”, con un termine che indica il legame “quasi religioso, indissolubile” che si stabilisce tra lui e coloro che ne riconoscono l’autorità. Il padrino garantisce protezione in cambio di fedeltà e favori nel momento del bisogno. In questo caso, l’uomo a colloquio con don Vito chiede che sia fatta vendetta di un torto subito dalla figlia: due uomini l’hanno pestata a sangue, devono morire. In giardino, gli invitati al matrimonio mangiano, ridono, si esibiscono in canti e balli siciliani.

Nelle prime scene de Il padrino, è già ravvisabile il parallelismo che sta alla base di tutta la poetica del film: quello che accosta i valori della famiglia (e della Chiesa) alle regole della mafia. La patina colorata costituita dai pranzi tra parenti, dai momenti di vita domestica e dalla celebrazione solenne e fastosa dei Sacramenti (assistiamo a due matrimoni, un funerale e un battesimo) cela un mondo che vive di oscurità, segretezza e violenza. I doveri familiari e gli obblighi imposti dal circuito mafioso sono due facce della stessa medaglia: una realtà in cui vige la legge del taglione e un giuramento mancato viene pagato a caro prezzo. Don Vito Corleone si trova sulla sommità della piramide gerarchica cui questo sistema di relazioni fa riferimento. Sotto di lui i figli Fredo e Sonny, il consigliere (nonché figlio adottivo) Tom Hagen e diversi uomini di fiducia non appartenenti alla famiglia. C’è poi Michael, l’ultimogenito: arruolatosi nei Marines, è l’unico Corleone a non aver mai partecipato agli affari illegali di suo padre. All’inizio del film, lo vediamo arrivare a festa iniziata, assieme alla fidanzata americana Kay, e sedersi in disparte. Da qui in poi, la sua figura e il rapporto con don Vito assumono un rilievo sempre maggiore: la metamorfosi di Michael da ragazzo onesto a nuovo boss si accompagna al declino del potere paterno, e nel contempo rappresenta l’evoluzione della mafia verso la sua forma più moderna. L’organizzazione criminale aspira a diventare puro business e accresce la ferocia dei suoi metodi già disumani.

Ispirandosi all’omonimo romanzo del 1969 di Mario Puzo, Il padrino di Coppola inaugura un nuovo modo di raccontare la mafia, sviscerandola dall’interno e idealizzandone in parte figure e rituali. Marlon Brando si presenta in quella che è certamente la sua più celebre interpretazione, e il suo Vito Corleone è ancora oggi ricordato nell’immaginario collettivo come il boss mafioso per antonomasia. Vincerà l’Oscar. Al suo fianco, un Al Pacino a inizio carriera, che proprio grazie alla parte di Michael Corleone otterrà fama e i primi riconoscimenti. Altri premi Oscar andranno invece al film e alla sceneggiatura non originale. Notevoli anche la fotografia e il montaggio. Le musiche di Nino Rota non saranno premiate, perché considerate un parziale rifacimento della colonna sonora di Fortunella (1958).

Il film ha due sequel, girati dallo stesso regista: Il padrino – parte II (1974) e Il padrino – parte III (1990).

Maria Triberti