Una consulente di una società milanese vive un momento di difficoltà personale: divisa tra un lavoro in cui deve vendere parole e concetti a persone perplesse, un capo che è anche il suo amante che la stringe in un rapporto squallido e un padre anziano e rancoroso (nonostante la sua fede), Monica si aggira per Milano come un fantasma. In un corso di fotografia cerca uno sfogo alla creatività personale, nel rapporto con il figlio adolescente della sorellastra si sente forse quella madre che non è mai (o ancora) diventata e che vorrebbe essere, forse per distanziarsi dal negativo modello materno. E nella sorella, cerca di riunire in qualche modo pezzi dolorosi della sua vita (la madre abbandonò il padre e lei per scappare con un altro, da cui il rancore del padre). Ma ogni suo tentativo si trasforma in fallimento: anche quando cerca una storia diversa e più seria con un uomo, lo perderà.,Marina Spada è regista sensibile e appassionata. Al Festival di Roma 2011, a chi le faceva notare un certo sguardo raggelato sul film, replicava stizzita su questo punto; non è lo sguardo a essere raggelato – perché la regista osserva con affetto e partecipazione la vita frammentaria e disordinata di Monica – ma l’ambiente, a cominciare da una Milano poco ospitale con i suoi cantieri, i suoi grattacieli, i suoi luoghi di convivenza sempre più alienata. E in questo c’è sicuramente un limite, una disperazione che non permette di cogliere e valorizzare gli aspetti che si salvano nella fragilità e nella confusione umana. Ma Spada è regista di talento. Certo lo stile debitore alla lezione di Michelangelo Antonioni, con tanto di citazione di un luogo di un suo film, non aiuta a tenere avvinti spettatori non preparati. Ma la capacità di far parlare luoghi e ambienti e il lavoro sugli attori è convincente, a cominciare da una Claudia Gerini credibile, seppure mostri ogni tanto lo sforzo della recitazione a discapito di una naturalezza che non può avere (dopo tanti film di commedia, per la prima volta è protagonista di un film drammatico). Ma ancor più azzeccati sono i comprimari, da un gigante come Raffaele Pisu (star della televisione in bianco e nero, riscoperto dal cinema negli ultimi anni: aveva un bel ruolo anche in Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino) e i meno noti Claudia Coli, Paolo Pierobon e Lino Guanciale oltre all’esordiente e giovanissimo Enrico Bosco; tutti insieme ci fanno entrare in un mondo, fatto di persone reali, senza troppi preamboli.,Ma quel che ci convince di più del film, pur non esente da limiti, è che a un certo punto irrompono spunti di riflessione decisivi sulla vita, senza forzature. Come quando un attempato allievo di un corso di Monica (un personaggio molto interessante e vero, di cui si vorrebbe saperne di più), prima di metterla in guardia dall’uso strumentale che l’azienda può fare dei suoi corsi, le smonta teorie e frasi fatte (come per esempio la crisi come opportunità) con una semplice domanda: “Ma se ogni gesto o offerta nasconde una dinamica di potere, come la mettiamo con chi è gratuito come Gesù?”.,Peccato che il film non sviluppi piccole gemme come questa. Il mio domani si limita a mostrarci la crisi di una donna, o meglio di una persona, alle prese con la solitudine, la tristezza, la mancanza di significato. E un riscatto finale che suona un po’ di maniera, da ottimismo della volontà non suffragato di ragioni e sostanza. L’autrice sembra dirci che si può sterzare la propria vita prima che degrada in un definitivo squallore, ma quel cambio di vita che sembra una soluzione coraggiosa sa tanto di fuga.,Antonio Autieri

Il mio domani
Una donna in crisi con gli affetti e con se stessa, a Milano.