Il titolo del film dell’esule Mohammad Rasoulof è volutamente antifrastico. Il male c’è, ovviamente. E c’è in un paese che obbliga i soldati di leva a fungere da boia di loro connazionali. Che costringe a scegliere tra uccidere una persona o ucciderne molte; o uccidere una persona per poterne amare un’altra. C’è il male nella burocrazia, negli inconfessabili segreti familiari, nella finta rettitudine, finanche nel rifiuto egoistico mascherato da posizioni etiche.
Nelle descrizioni di Rasoulof il male sembra la principale forza della vita quotidiana: il male di azioni passate, di decisioni presenti, di strutture fuori dal tempo, in un sistema sociale che accetta l’omicidio come legittima forma di punizione. Da questo punto di vista Il male non esiste non cerca di indagare o chiedersi quanto sia vero l’assunto, quanto di mostrare la relazione delle persone con il male che inevitabilmente scorre nel nucleo stesso della nazione, coinvolgendo luoghi e intere generazioni di cittadini.
Ognuna delle quattro sezioni del film ha un titolo ed è girata con uno stile differente, tanto che potrebbe essere un corto a sé stante; la prima è indubbiamente la più forte, anche perché lo spettatore ancora non si rende conto di come il regista voglia giocare con la nostra ignoranza, mostrando il ritratto realistico di una famiglia alle prese con le cose di tutti i giorni nell’Iran di oggi. Vediamo un uomo con la sua famiglia, una persona seria che prende le cose responsabilmente, che si fa carico di una madre anziana, che dà una mano in casa, capace di salvare un gattino rimasto incastrato in un buco; che aiuta la moglie a farsi la tinta e che non approfitta di un resto sbagliato andando a fare la spesa. E così Rasoulof ci porta inconsapevolmente allo snodo finale, un ultimo minuto rivelatore e forte come un pugno allo stomaco. Ma il regista, acutamente, non usa la stessa tecnica per le seguenti sezioni, come se ognuna fosse girata da una persona differente, con un suo proprio stile, a cui venisse chiesta una sorta di “variazione sul tema”, che alla fine risulta ben chiara allo spettatore, anche se continuamente intrisa di suspense e attesa di colpi di scena.
Le implicazioni morali del proprio comportamento, le decisioni di obbedire o meno a degli ordini, le conseguenze delle proprie azioni per se e per le persone care, sono tutti temi che il regista mette sul piatto, andando molto più in là di una semplice critica al sistema ma interrogando tutti sul mistero della propria umanità.
Vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino 2020.
Beppe Musicco