La data è importante: siamo nel 1964, l’anno dopo l’omicidio del presidente Usa John Fitzgerald Kennedy a Dallas. Nel Bronx, e precisamente nella parrocchia di St. Nicholas, si scontrano il parroco padre Flynn, sacerdote che riesce a dialogare con gli allievi con sensibilità e apertura mentale, e suor Aloysius Beauvier, preside della scuola e superiora delle suore che insegnano nell’istituto tanto sospettosa quanto dura nei comportamenti basati su regole e divieti. Quando una giovane suora osserva delle stranezze nel comportamento di un ragazzino (l’unico di colore della scuola) e il suo stretto legame con padre Flynn, suor Aloysius si convince che si tratti di pedofilia. E inizia il suo “processo” al religioso. Un durissimo scontro, in cui la verità è la prima sconfitta e nessuno ne esce vincitore.
Tratto dall’omonima pièce teatrale dello stesso regista John Patrick Shanley (portata anche in Italia da Sergio Castellitto alla regia, con Stefano Accorsi), Il dubbio è film solido, con dialoghi fulminanti, e una serie di attori notevoli tra cui due giganti come Meryl Streep e Philip Seymour Hoffmann (entrambi nominati all’Oscar). Il duello dei loro personaggi è in realtà una gara di bravura, sottigliezze e sfumature interpretative che da sole varrebbero la visione (anche fra i comprimari: la breve parte di Viola Davis, la madre del presunto molestato, è tanto breve quanto intensissima: un’altra nomination all’Oscar meritata). Dal punto di vista stilistico, l’unica pecca è che la sceneggiatura non risulta molto coinvolgente, nonostante il tema; e spira un’aria di freddezza e manierismo che rischiano di annoiare.
Quanto alla vicenda, sicuramente delicata, e al tema della pedofilia alla fine del film si rimane perplessi: se l’aria di ambiguità che non si scioglie nemmeno nel finale può a tratti intrigare (il prete era innocente o nascondeva davvero qualcosa? E perché la madre del ragazzo sembra addirittura complice, in un dialogo teso con la preside?), suona un che di pretestuoso in una vicenda in cui le due figure di religiosi cattolici sono ficcati a forza nel contesto. Lo scontro è tra due mentalità, tra due poteri se vogliamo: ma se fossero stati il preside e l’insegnante “laici” di un liceo statale la storia non ne avrebbe risentito affatto. Che siano religiosi lo capiamo dal rispettivo abito, ma suona strano che i loro criteri d’azione siano alla fine caratteriali (una chiusa, l’altro aperto), sociali, di mentalità, mai cristiani (mai che si senta nominare Gesù: piuttosto curioso…). E dunque è più che fondato il sospetto che il regista (che ha dichiarato di aver voluto con la sua storia stigmatizzare e chiudere il periodo “buio” della presidenza Bush: chissà perché ambientando il tutto nel 1964…) abbia puntato sulla facile infiammabilità del tema pedofilia. Che poi mischia con un pregiudizio di fondo verso la Chiesa e i suoi ministri e con un finale (imprevedibile, ingiustificato e quasi imbarazzante) in cui la perfida suora crolla inopinatamente e dichiara con sgomento la sua mancanza di fede. E allo spettatore rimane un esempio di confezione lucente e perfetta, come una scatola però che una volta aperta delude per il suo contenuto.
Antonio Autieri