La vita di Adrien, già non molto brillante, crolla all’improvviso quando la fidanzata Sonia lo lascia all’improvviso. O meglio, mette “in pausa” la loro relazione: senza un perché, piglia e se ne va una mattina, minimizzando che non lo sta lasciando, no… Dopo 38 giorni di profonda disperazione alternata a scatti di rabbia e a brevi squarci di speranza, Adrien decide di scrivere un messaggio a Sonia, che lo legge (ah, le dannate “spunte”…) ma non risponde. Perché? È quello che si chiede lui per ore, mentre si deve sorbire l’ennesima, interminabile e insopportabile cena di famiglia con i genitori, la sorella e il futuro marito di lei. E quando l’imminente cognato gli chiede di fare un discorso al loro matrimonio, Adrien rischia di crollare. Non ne ha voglia, non si sente adeguato, in fondo non sopporta nemmeno la sorella con cui è cresciuta una notevole distanza. Così prova e riprova mentalmente le scuse addotte per non farlo, oppure ipotizzando il discorso che potrebbe fare, tra improbabili trionfi brillanti e clamorosi e imbarazzanti rovesci che lo bolleranno ancora di più come un fallito e un buono a nulla. Come uscirne?
Con Il discorso perfetto Laurent Tirard, regista e sceneggiatore francese di commedie di cui si ricordano soprattutto Il piccolo Nicolas e i suoi genitori e il relativo sequel, parte da un fortunato besteseller dell’umorista Fabrice Caro per confezionare un film svelto e brillante, con un bel ritmo e tante soluzioni simpatiche: dal continuo rivolgersi allo spettatore interrompendo una conversazione a tavola (magari immaginando di rispondere finalmente come si deve a uno dei familiari petulanti), immaginando o sognando a occhi aperti, parlando perfino con sé stesso in un efficace sdoppiamento visivo e di coscienza e ripensando al passato nei modi più fantasiosi. Apparentemente, perché tutto sembra nuovo e già visto allo stesso tempo, a cominciare dalla voce fuori campo che trasforma il film in unico lungo monologo; ma non è originalissimo neanche il ritratto di questo ipocondriaco dei nostri giorni, che ha mille paure e altrettante fisime (le cene ripetitive lo annoiano ma in fondo lo rassicurano: un cambio di dolce a fine serata lo spiazza notevolmente).
Certo, di spunti seri ce ne sono: dalla superficialità della fidanzata che molla Adrien di punto in bianco alle piccole e grandi crisi che possono nascere tra consanguinei per distrazione e noncuranza (i regali sempre uguali, le battute dette senza dar peso alle reazioni altrui). E gli attori sono tutti efficaci, con il protagonista Benjamin Lavernhe su tutti che ha tempi comici ed espressioni buffe o perplesse ben dosate. Mentre le battute o le gag divertenti non mancano affatto.
Però man mano che la storia procede abbiamo il sospetto che non ci lascerà molto alla fine, e la conclusione fin troppo “seria” e brusca – con il tanto atteso discorso: non migliore di quelli messi in scena nell’immaginazione – ce ne dà conferma. Come anche il discorso che mette in scena, il film non è dunque perfetto, anzi. Però il suo onesto risultato di farci sorridere per 85 minuti e poco più Il discorso perfetto lo porta a casa. Tutto sommato può bastare.
Antonio Autieri
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