Sarà forse per compensare tutto il bailamme mediatico che avvolge da decenni i reali britannici – dalle intrusioni nella vita privata alle disavventure familiari e istituzionali – ma il cinema inglese sa anche fare film che presentano la famiglia reale in quegli aspetti che, a noi comuni mortali, li fanno apparire molto meno privilegiati di quanto si possa pensare. È stato così per The Queen, che rivelava una Elisabetta ben lontana dalla freddezza con cui si pensava avesse vissuto la tragedia della morte di Diana. Ed è così anche ne Il discorso del Re, che rivela quanto Albert di Windsor, Duca di York (Colin Firth), abbia dovuto affrontare: una corona non voluta (dopo la rinuncia del fratello Edoardo VIII che preferì abdicare per sposare la divorziata Wallis Simpson), la II guerra mondiale e, argomento del film, una balbuzie in grado di terrorizzare colui che doveva rivolgersi all’Impero Britannico in giorni di grande tribolazione. Ai tempi la radio era il principale mezzo di comunicazione di massa e le prove che i sudditi di sua Maestà avrebbero dovuto di lì a poco affrontare nella guerra contro la Germania di Hitler richiedevano una presenza pubblica e una voce forte e sicura, un aspetto che mancava al giovane successore al trono, alla disperata ricerca di qualcuno che potesse aiutarlo.

Il rapporto tra il futuro Giorgio VI e un logopedista australiano (Lionel Logue, interpretato da Geoffrey Rush), è storico, e il regista Tom Hooper (già autore de Il maledetto United) accentua la differenza tra i due uomini, che non è solo di ruolo: Lionel è un ex attore australiano, molto poco avvezzo alle formalità abituato a dare e farsi dare del tu, cosa difficilmente concepibile per il Duca di York e futuro Re. Ma Lionel capisce che deve convincere il Re a fidarsi di lui, o entrambi falliranno. Fermamente certo che la balbuzie non sia una malattia congenita, Logue – poco a poco e non senza errori e battute d’arresto – riesce, come uno psicanalista, a risalire alle cause giovanili del blocco del linguaggio di Albert, e lentamente a ridargli fiducia. Fino a conquistarne l’amicizia. Determinante anche il ruolo della famiglia: la moglie Elizabeth (Elena Bonham Carter è quella che poi passerà alla storia come la Regina Madre) e le due giovani Elizabeth e Anna.

Un film avvincente, educativo (chi dei nostri giovani conosce questo importante pezzo di storia europea?), girato anche enfatizzando i particolari che distinguono il microcosmo reale (con campi lunghi e riprese dal basso che accentuano una certa solennità), contrapposto alla vita quotidiana dei sudditi. E raccontando un insolito, ma indimenticabile rapporto di amicizia tra un re e il più improbabile dei collaboratori che porta il sovrano inglese ad assumersi le proprie responsabilità di fronte al popolo nel momento della prova. Un’unica pecca: tanto è coinvolgente lo sforzo per superare i limiti della voce e della parola nel film originale, tanto il doppiaggio italiano – per quanto ben curato – ne impoverisce inevitabilmente forma e contenuto. Da vedere, se possibile, in lingua originale.

Beppe Musicco