Andreï Filipov, un tempo osannato direttore dell’orchestra del Bolshoi di Mosca, è oggi ridotto a fare l’addetto alle pulizie del teatro dopo essere caduto in disgrazia per essersi rifiutato di espellere i musicisti ebrei: ragione per cui fu punito e umliato dal regime sovietico. Ma la vita gli regala l’occasione di tornare sul palco e di chiudere i conti non solo con il concerto che non aveva mai potuto completare, ma anche di ritrovare i legami spezzati dalla violenza dell’ideologia comunista.

Dopo gli ebrei in fuga di Train de vie e il giovane etiope in cerca di identità di Vai e vivrai, Radu Mihaileanu ci regala un altro commovente (ma anche esilarante) gruppo di personaggi nel suo nuovo film, come d’abitudine un lavoro in delicatissimo equilibrio tra dramma e commedia. La descrizione della Russia post-sovietica, divisa tra gente che cerca di arrabattarsi (facendo la comparsa ai comizi degli ex-comunisti o alle feste degli oligarchi), nuovi ricchi e burocrati inossidabili, occupa la prima parte della storia, e nonostante qualche lentezza cattura lo spettatore attraverso lo sguardo appassionato del suo protagonista, l’ex-direttore Andreï, una figura originale nell’unire fragilità e determinazione, tanto da trascinare e coinvolgere nella sua pazzesca impresa la moglie e l’amico più caro.

Lo svelamento progressivo del suo passato (che riserva un’ultima, giustissima sorpresa) procede di pari passo con l’avventura di portare la sua orchestra bizzarra e raccogliticcia nella ville lumière, in un susseguirsi di equivoci e situazioni paradossali (le richieste improbabili dei russi, le furbate dei francesi che non capiscano le strane fissazione degli stranieri e così via) che tuttavia non fanno mai perdere il filo di un racconto che ha la sua linea più potente nel tentativo di riparare a un’ingiustizia del passato.Particolarmente divertente proprio il personaggio del vecchio impresario (e agente del KGB) del Bolshoi, che oggi è costretto a radunare un pubblico a pagamento per dare credibilità a quel pensiero che ha distrutto la vita di Andreï, mentre ricorda con nostalgia l’unanimità dei vecchi congressi di partito. E tuttavia sarà proprio lui ad alzare gli occhi verso il cielo alla ricerca di un aiuto nel momento più difficile…

Il concerto finale, infatti, si carica del peso di un confronto con la storia, diventa luogo dove riannodare i fili di rapporti spezzati dall’ideologia, ma anche occasione per unire personaggi diversi e bizzarri, ma mossi da una solidarietà reciproca capace di superare gli egoismi di ciascuno. Il racconto, che alterna alcune scatenate scene di commedia a passaggi drammatici (entrambi si apprezzano decisamente di più vedendo il film in lingua originale; il doppiaggio in questo caso è particolarmente infelice), accompagna lo spettatore in un’avventura che coinvolge profondamente come solo la passione per il destino umano sa fare, in una prospettiva di rinascita e redenzione che solo l’apertura all’infinito – qui trovata attraverso la bellezza della musica – riesce ad esaltare.

Luisa Cotta Ramosino

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