Un anno dopo il successo di The Wrestler, Darren Aronofsky torna al cinema con Il Cigno Nero, un film fortemente voluto dal produttore Scott Franklyn, finanziatore delle ultime tre opere del regista (oltre i due citati, anche Requiem for a Dream). La sceneggiatura, scritta da ben sei mani, consegna nella mani di Aronofsky un racconto dai toni fortissimi, volutamente estremi nel creare una vera e propria tragedia romantica. Nina (Natalie Portman), ballerina sui vent’anni, si candida per essere la protagonista del Lago dei Cigni, balletto diretto dal maestro Tomas (Vincent Cassel). È una ragazza dalla quale traspare innocenza e timidezza, una “bambina” che la madre Erica (Barbara Hershey) protegge scrupolosamente dalle perversioni della mondanità, appoggiandone la carriera ma al tempo stesso costringendola chiusa in casa quando termina le prove. Tuttavia Tomas ha un progetto molto chiaro su Nina e la ammonisce ripetutamente di essere fin troppo brava a recitare la parte del “cigno bianco”, ma di non avere in sé la cattiveria del “cigno nero”, l’aspetto oscuro e tenebroso di ogni essere. E quasi per spronarla a ritrovare in sé questa componente luciferina, viola la sua intimità con atti che hanno in sé qualcosa di sadico. La ragazza è sconvolta ma per avere quella parte farebbe di tutto. È l’inizio di un cammino di dannazione, che porterà Nina alla totale rottura con la madre e soprattutto ad un annebbiamento della mente con conseguenti allucinazioni e comportamenti sessuali estremi. A scortarla su questa strada della perdizione, interviene la femme fatale Lilly (Mila Kunis), ragazza totalmente priva di scrupoli morali e anch’essa desiderosa di quel ruolo da protagonista. Così i confini tra realtà e arte, con difficoltà crescente a distinguere il reale dall’onirico, si confonderanno e Nina rivivrà la stessa dannazione del proprio personaggio, fino al tragico finale che unirà definitivamente la finzione alla realtà. ,L’idea da cui è nato il film sembra ispirata dal capolavoro di David Cronenberg M Butterfly, dove tragedia del teatro e tragedia della vita si sovrapponevano con gli stessi caratteri. Come anche nell’opera del regista canadese, il piano estetico è notevole. Aronofsky, le cui qualità visive ne fanno uno dei registi giovani più interessantu, alterna magistralmente le scene eleganti del balletto e delle musiche di Čajkovskij, con sequenze oniriche da thriller psicologico che ha già sperimentato agli esordi di Pi greco – Il teorema del Delirio. Gli attori sono molto azzeccati, a cominciare dalla reginetta Natalie Portman (sempre più brava, l’attrice che esordì adolescente in Leon, e candidata all’Oscar per questo ruolo), tradita forse dal doppiaggio italiano che ne carica troppo la voce, facendole perdere quella capacità di sussurrare le battute con una simulata timidezza. Infine ottima la fotografia di Matthew Libatique, fatta di bui notturni e di interni bianchi (che ben richiamano la doppia essenza del “cigno bianco” e del “cigno nero”). ,A non convincere è la scelta di virare la tragedia in chiave morbosa, con allusioni crescenti fino a un’insistita scena di amore lesbico (che sembra servire più a lanciare l’ennesimo “film-scandalo” che in chiave strettamente narrativa), e anche alcuni momenti horror, con sprazzi di forte violenza che restringono inevitabilmente il pubblico. Peraltro, scarnificando questa confezione la storia è poco orginale, sembra vista mille volte. C’è perfino qualcosa del precedente (bellissimo) The Wrestler – ma molto più pudico e sobrio, e mai didascalico – nel percorso di caduta verso il baratro. Ma stavolta è difficile simpatizzare per la povera protagonista, al contrario che con il lottatore fallito di Mickey Rourke diviso tra ansia di redenzione e autodistruzione.

Andrea Puglia