Giovanni Comini (Francesco Patanè) è giovane ed entusiasta del Fascismo che gli ha permesso, nonostante l’età, di diventare Federale di Brescia (responsabile delle sezioni del Partito Fascista). Il primo incarico di responsabilità, che riceve direttamente dal suo mentore Achille Starace, è di introdursi nella cerchia di Gabriele D’Annunzio (Sergio Castellitto) nella sua villa sul lago di Garda, da lui nominata “Il Vittoriale”: il poeta, già sostenitore di Benito Mussolini al suo ingresso nella scena politica con la fondazione dei Fasci di Combattimento, ora che è anziano e praticamente esiliato non esita a criticare apertamente l’alleanza con Hitler, che definisce “il ridicolo Nibelungo truccato alla Charlot”. Ma il seguito che il poeta ha ancora nell’Italia fascista non può che preoccupare i dirigenti del Partito, che preferiscono accontentare i capricci architettonici di D’Annunzio (occupato a ingrandire in tutti i modi il Vittoriale), o trovargli nuove cariche onorifiche piuttosto che dargli ancora l’occasione di influire sulla vita del paese. Come ricorda Starace a Comini: «D’Annunzio è come un dente marcio; o lo ricopri d’oro o lo strappi». Sempre più isolato e dipendente dalle medicine e dalla cocaina, il poeta ed eroe della I Guerra Mondiale si consuma nel ricordo dell’occupazione di Fiume, dei suoi trascorsi amorosi e della fama, mentre Comini inizia a dubitare della propria adesione al Fascismo, quando ne vede (anche sulla pelle di chi gli è caro) i lati feroci e dittatoriali.

Tratto dai veri accadimenti del finire degli anni 30 e della vita di quello che era stato soprannominato “il Vate” e “l’Immaginifico”, il film di Gianluca Jodice approfitta largamente delle atmosfere decadenti e opulente del Vittoriale, cariche di orpelli, statue e broccati. La penombra di cui si circonda D’Annunzio è il crepuscolo di un’era, e tutti i rapporti di cui si circonda sono una patetica sfida all’isolamento cui ormai è condannato. Castellitto, col cranio rasato, il pizzetto e la divisa opera una trasformazione impegnativa ed efficace (anche se l’altezza e l’età non si possono nascondere più di tanto); il suo D’Annunzio è vecchio e fisicamente provato ma ancora lucido, tanto da capire perfettamente che il suo ex protetto Mussolini ora guarda altrove, senza alcuna riconoscenza per l’uomo che tanto ha fatto per l’immagine vincente del Fascismo in Italia e all’estero. Patanè esprime bene i dubbi di chi da sorvegliante si è trasformato in fedele discepolo del poeta, anche se cercando di difenderne la causa senza troppo irritare i suoi padrini politici, e che vedrà il suo rapporto d’amore con una donna (Lidiya Liberman) finire tragicamente proprio a causa del Fascismo. Più di contorno le presenze femminili (Clotilde Courau, Elena Bucci, Janina Rudenska), ancora affascinate dalla personalità di D’Annunzio e disposte ad assecondarlo in tutto e che Jodice sfrutta per mostrare ancora una volta quanto la figura di quest’uomo abbia pesato nella storia d’inizio ‘900. Peccato che, immersi nella vicenda politica e sociale, non ci sia ne Il cattivo poeta, nonostante il titolo, alcun cenno proprio alla copiosissima attività poetica dell’autore; un aspetto che sarebbe stato utile ricordare visto il contributo tutt’altro che insignificante che Gabriele D’Annunzio diede alla letteratura italiana.

Beppe Musicco