Il terremoto implacabile distrugge paesi, case e famiglie. Sotterra ricordi. Ma non cancella la memoria di chi non vuole dimenticare. Di chi si aggrappa al passato per poter vivere, e non sopravvivere al presente. Nella solitudine e nel silenzio di Provvidenza, un paesino immaginario della Puglia che ruba il nome a un sentimento, a un’attesa, a una speranza, Pippo Mezzapesa costruisce la storia de Il bene mio. Niente è vivo in quel paese, nessuno abita le case, nessuno prega nella Chiesa se non l’unico abitante Elia (Sergio Rubini). Aveva una moglie, Maria, che il terremoto ha portato via. E quella scuola dove lei insegnava diventa un territorio inaccessibile, chiuso, anche allo stesso Elia. Poco lontano da Provvidenza, c’è un paese dove tutti si sono trasferiti: anche le persone più vicine a Elia. C’è il sindaco, fratello di Maria (Francesco De Vito), che fa di tutto per espropriare Provvidenza da Elia, e poi c’è Rita (Teresa Saponangelo), l’amica che gli porta cibo e beni necessari, e c’è Gesualdo (Dino Abbrescia), l’unico amico che può arrivare a Provvidenza insieme a turisti orientali per fotografare le rovine. Ma Elia non è solo. Il rumore di uno sconosciuto, che si nasconde, ruba e mangia a Provvidenza, ha il volto di una donna, Noor (Sonya Mellah), una sconosciuta illegale. E che cos’è il bene? Espropriare sconosciuti, ospitarli, restare o provare ad avere una nuova casa, nuove mura, nuovi luoghi?
In questo bel film Pippo Mezzapesa si distanzia dal cinema dei suoi coetanei e si inerpica nel difficile sentiero della fiaba. Elia è infatti un barone rampante dei giorni nostri, che non ha nessuna intenzione di scendere dal suo albero, dalla sua città. Che ricorda la potenza della fedeltà, l’ostinazione della malinconia, la solitudine di chi ha amato il suo passato e non vuole tradirlo, cambiando casa, strade e città. E per poter raccontare tutto questo Mezzapesa costruisce, scrivendo la sceneggiatura con Antonella Gaeta e Massimo De Angelis, un personaggio pieno di sfumature, di cui lo spettatore si innamora e che va in tensione tutte le volte che entra qualcuno, qualcosa di diverso nella storia. Come se l’equilibrio della vita di Elia fosse sempre in bilico. Presentato fuori concorso alle Giornate degli autori, sezione autonoma del festival di Venezia, questo piccolo film trova la sua grandezza in un cast di attori perfetti, mai fuori tono. Nel continuo rimando tra paure, realtà e immaginazione Il bene mio riesce a creare quel giusto equilibrio tra sorrisi e nostalgia di cui il cinema italiano ha bisogno.

Emanuela Genovese