Il piccolo Bruno ha otto anni, e la sua vita a Berlino è felice. Ha due genitori, una sorella, una bella casa e amici con cui divertirsi, giocando e immaginando di essere coraggiosi soldati. Perché Bruno è figlio di un militare tedesco e sa che il suo papà e il suo paese sono invincibili. Ma il papà viene trasferito da Berlino in aperta campagna con il nuovo incarico di dirigere un campo di prigionia e Bruno in quel luogo non ha più amici con cui giocare, per cui, quando in un a passeggiata trova un bambino dietro una recinzione, cerca subito di diventarne amico. Il regista Mark Herman porta lo sguardo sull’atrocità nazista a livello degli occhi di un bambino: attraverso lo sguardo innocente di chi non distingue un pigiama da una divisa carceraria anche lo spettatore partecipa dell’abominio per il quale si possono imprigionare e uccidere degli innocenti. Bruno non capisce, e neanche il piccolo prigioniero Shmuel comprende perché si trova in quel luogo. Ma ha fame ed è stanco, per cui mangia volentieri quel che Bruno gli porta e con lui si confida. I bambini potranno non capire le assurdità dei grandi e le loro decisioni scellerate, ma credono a quello che vedono, e sono capaci di gesti grandi e generosi, anche se pericolosi. Bruno, nonostante l’ambiente intorno a lui diventi sempre più opprimente (a partire dalla sorella, plagiata da un fanatico istitutore), decide che deve aiutare Shmuel e per questo si intrufola nel campo vestito come un prigioniero, fiducioso che le condizioni di vita all’interno, siano quelle che vede nei cinegiornali, dove la vita nel campo sembra quella di una fattoria. Tratto dal romanzo omonimo dell’irlandese John Boyne, Il bambino col pigiama a righe è tanto più doloroso, in quanto interpretato da bambini tragicamente coinvolti in uno dei più grandi drammi della storia. A differenza di altri film sull’Olocausto però, qui non ci sono uomini generosi, salvatori dell’ultimo momento, soldati pietosi. Dolore e morte che ci sopraffanno e che solo la pietas del regista ci impedisce di vedere fino in fondo.,
Beppe Musicco