Fu Indro Montanelli a chiedersi alcuni anni fa come mai, a fronte di tanti testi della letteratura italiana adattati per il cinema o per la televisione, nessun regista italiano avesse mai fatto un film da I viceré (1894) di Federico De Roberto. A colmare questa lacuna ci ha pensato Roberto Faenza, cui bisogna riconoscere un certo coraggio per essersi posto un obiettivo ambizioso ed aver creduto in esso, una spinta che manca a molti dei nostri pur bravi ma rinunciatari registi. Detto ciò, I viceré delude, purtroppo, già da prima che le immagini comincino a scorrere sullo schermo. Il film è infatti introdotto da una frase che campeggia prima ancora dei titoli di testa, che recita: “Ma come, Federico De Roberto, quel galantuomo siciliano di cento e più anni fa, pronunziava davvero le frasi presenti nel film, che sembrano scritte oggi da un tribuno estremista o da un guitto irriverente?”. Ecco come non si dovrebbe mai cominciare un film, dando per scontato che lo spettatore non sia abbastanza intelligente per coglierne lo spirito e i riferimenti o, peggio, suggerendogli un percorso privilegiato e facilitato di visione, negandogli il piacere di esplorare il testo nella sua ricchezza, alla ricerca di una qualche corrispondenza. Faenza finge di non saperlo, troppo preoccupato a spiegare che in cento anni i vizi italici del trasformismo e dell’arrivismo non sono cambiati, come sono sempre esistite le furberie e le scaltrezze dei voltagabbana della politica. Lo fa filtrando la storia della famiglia Uzeda e quella della Sicilia dell’Ottocento attraverso lo sguardo sempre più disincantato dell’ultimo rampollo della casata, il principino Consalvo, che da idealista diventerà cinico. Ma c’era davvero bisogno che Alessandro Preziosi guardasse in macchina e scandisse: “il potere”, perché noi poveri spettatori capissimo l’argomento del film? Lontano anni luce dal Gattopardo di Visconti a cui vorrebbe assomigliare, I viceré è uno spettacolo lussuoso ma superficiale, che si può ricordare per la confezione scintillante (costumi e scenografie sono da serie A) e per qualche interpretazione, tra cui segnaliamo le fugaci ma incisive apparizioni di Lucia Bosè e Franco Branciaroli. L’andatura a singhiozzo poi si deve ai numerosi tagli che accorciano il film, di parecchio, rispetto alla versione in due puntate che sarà trasmessa in televisione. Ma lì forse le didascalie serviranno. ,
Raffaele Chiarulli