Film-manifesto del mondo omosessuale, fortemente accentuato ideologicamente. Lo dirige Lisa Cholodenko, attivista gay e regista per la televisione e il cinema (Laurel Canyon – Dritto in fondo al cuore). La storia, assai prevedibile, si muove dal desiderio dei due figli adolescenti di una coppia omosessuale di conoscere il padre, o meglio, il donatore di seme. Lo trovano, dopo una ricerca troppo breve, nella persona di Paul (Mark Ruffalo), immagine perfetta di una figura paterna ormai ridotta a semplice comparsa biologica. Perché Paul, ristoratore di prodotti bio, è tanto fascinoso, intrigante in apparenza, sempre con i capelli arruffati e la camicia tutta in disordine e aperta sul petto quanto inconsistente sul piano degli affetti: playboy scriteriato, incuriosito forse più che interessato alla vicenda dei ragazzi, eccezion fatta per un ripensamento tardivo, è nel film il contraltare alla dura e arcigna Nic (Annette Bening), colei che, e non solo metaforicamente, porta i pantaloni in casa. È nel personaggio di Nic, infatti, che la Cholodenko – che, come la Bening nel film, è lesbica e madre di un figlio voluto con la fecondazione in vitro, concentra le caratteristiche più positive, almeno secondo lei: un'attenzione al dialogo coi figli; una cura nell'ascolto dei ragazzi specie per quanto riguarda la vita sessuale (“Si stanno esplorando”, commenta con la compagna, dopo che il figlio e un amico sono stati sorpresi durante la visione di un film porno gay), fedele a un unico grande comandamento: non giudicare mai. Così la donna, non più giovane, anzi sfiorita, assiste perplessa e anche un po' risentita all'entrata in casa di questo estraneo che non rivendica nulla e cerca ancora meno, almeno fino a una svolta finale che chiude letteralmente la porta all'altro. La Cholodenko ha le idee chiare: sdoganare, come se ce ne fosse ancora bisogno, la famiglia omosessuale che viene raccontata da un punto di vista interno e resa protagonista assoluta. E mostrare come le due donne si trovino di fronte a tutti i problemi tipici che dei figli adolescenti portano: lo scontro con l'autorità, il desiderio di un punto di paragone con una figura adulta fuori dalla famiglia; la questione affettiva. Il problema è che, al di là di facili semplificazioni ideologiche (la questione dell'identità sessuale del ragazzo, liquidata in poche battute, come se fosse ininfluente vivere con due madri) la regista, forse per troppa vicinanza alla materia trattata, sembra solo preoccupata di mostrare la vita “normale” delle due donne, e così evidenzia con enfasi i baci appassionati tra le due protagoniste e anche il sesso mica poi troppo appassionato, in una sequenza, più squallida che divertente, in cui le due donne prendono ispirazione per le proprie performance da un film porno gay. E, il resto del film, anche solo da un punto di vista cinematografico, passa in secondo piano: la caratterizzazione di almeno tre personaggi su cinque (i due ragazzi e il “padre”) è superficiale; manca totalmente alla famiglia un contesto di amicizia e di vita sociale, a parte qualche piccolo accenno; le svolte – compresa quella erotica – sono assai prevedibili e la chiusura, che stempera i toni duri assunti a un certo punto da Nic, in realtà non conclude granché né restituisce una gran luce sull'intera vicenda. Ma più di tutto, quello che non convince, è che la domanda, giusta e legittima, dei ragazzi – chi sono io? Chi è mio padre ? – non sia mai affrontata con decisione, anzi è ridotta a semplice, esotica ricerca di un omino del seme che entra nella vita dei giovani improvvisamente, e improvvisamente viene estromesso, senza che di lui davvero possa rimanere una minima traccia.,Simone Fortunato,