Francesca è una casalinga italo-americana che vive in una cittadina dell’Iowa insieme al marito contadino Richard e ai suoi due figli. La sua monotona quotidianità è sconvolta dall’arrivo del fotografo Robert Kincaid, inviato dal National Geographic per fotografare i caratteristici ponti coperti della zona. Tra i due nascerà un interesse che presto si trasformerà in un’intensa e tormentata storia d’amore.
Ripercorrendo la carriera da regista di Clint Eastwood dopo aver rivisto I ponti di Madison County a distanza di anni, pare di poter intravedere delle vere e proprie costanti nella sua poetica cinematografica: estetiche, temi e narrazioni che se messi insieme ci danno un’idea dell’enorme contributo offerto al mondo del cinema con il suo lavoro. Se in questo specifico caso la fonte letteraria dell’opera ci dona pagine di umanità tra le più raffinate (il film è infatti ispirato al libro I ponti di Madison County di Waller), lo sforzo del regista nel rendere quelle parole esperienza visiva per lo spettatore raggiunge uno dei vertici più alti di tutta la sua carriera.
La storia è di quelle che maneggiano l’amore come struggimento puro. Una passione fulminea che fa della fugacità il tratto principale del suo inizio e del dolore più lancinante la caratteristica del suo dileguarsi: una donna di origini italiane ha sposato un ex soldato statunitense e si è trasferita in Iowa in cerca del proprio posto nel mondo. Il marito Richard si è reinventato contadino e con il sacrificio di entrambi la dimensione famigliare è diventata componente principale della loro tranquilla quotidianità. Rispettabilità sociale e dedizione al proprio lavoro sono le leggi della buona società americana anni ’60, un apparato garante di sicurezza e agiatezza che spesso per mantenersi solido richiede il sacrificio di sogni e velleità giovanili: sin dalle primissime scene vediamo infatti una Francesca quarantacinquenne, impegnata tra cucina e pulizie, che nel riservare grande affetto ai figli e al marito (anche se sbattono le porte e le impediscono di ascoltare le arie della Callas alla radio), si fa attraversare il volto, perfettissimo quello di Meryl Streep, da un velo di malinconia per ciò che poteva essere e non è stato.
Quello che in origine è solo un piccolo segnale di insoddisfazione, con l’arrivo del fotografo giramondo Robert Kincaid assume finalmente uno spazio dominante, dettando di fatto l’andamento dell’intero racconto: ciò che immediatamente conquista la donna è infatti una fascinazione verso l’esotico, quella promessa di scoperta che l’aveva portata, tanti anni prima, a lasciare l’Italia per l’America e che ora si rifà presente sotto forma di un Clint Eastwood (capace di essere insieme tenero nelle parole e glaciale nello sguardo) armato di Nikon e pronto a vivere avventurosamente ciò che la realtà gli pone davanti.
Introducendo il personaggio maschile attraverso queste direttrici tematiche Eastwood riesce a mettere in gioco questioni di ordine esistenziale che vanno ben oltre il semplice e puro meccanismo di attrazione uomo-donna: frasi e scene d’amore non mancano e anzi rappresentano il fulcro di tanti sguardi e momenti di attesa tra i due; il punto di vero genio sta però nell’aver creato una scrittura capace di sostenere con il massimo della naturalezza l’incontro tra due personaggi che sono anche un prolungamento di due visioni della vita, della società e dei valori molto diversi tra di loro, e di avergli permesso di amarsi nonostante (e forse a ragione di) ciò.
Nessuna strizzata d’occhio ai cliché dell’amore proibito, bensì quella “eastwoodiana” passione per l’umanità dei soggetti che nel loro tormento personale si dedicano a discutere di questioni cruciali per la propria esistenza e a problematizzare le proprie scelte in relazione al rapporto instauratosi con chi gli sta di fronte: bellissime allora le atmosfere di quieta frugalità create intorno alle cene improvvisate, o ancora i momenti in cui Richard, impegnato a fare scatti, viene scrutato da lei tra le assi dei ponti. Come in moltissimi altri suoi film (da Gran Torino al recentissimo Richard Jewell) la riflessione sui grandi modelli di vita tipicamente americani si concretizza attraverso la costruzione dei personaggi e il loro posizionarsi all’interno o al di fuori di tali modelli: da qui anche la raffinatissima messa in scena, modulata tutta sulla distanza tra i corpi dei due attori, sulle loro micro-espressioni e su gestualità in evoluzione man mano che il loro rapporto cambia.
Il risultato di questa fusione si vedrà in alcune tra le scene più romantiche della storia del cinema e insieme nel misurare gli effetti che tale relazione ha su di loro: cambiamenti inevitabili e dolorosissimi perché capaci di rimettere in discussione quelle finte certezze su cui il precedente tran tran quotidiano di entrambi si basava. Non uno sconvolgimento in nome di una falsa promessa di liberazione dai propri doveri, ma la consapevolezza che, se e quando sarà tempo, ci sono tantissime esperienze impreviste lì in attesa del nostro arrivo, compresa la possibilità di vivere un amore per cui valga la pena dire «questo tipo di certezze si hanno una sola volta nella vita».
Letizia Cilea