Sono fratelli ma non si amano troppo, anche se non lo danno a vedere. Uno è avvocato, ricco e spregiudicato, l’altro è chirurgo pediatra, onesto e sensibile. Il primo ha una giovane figlia e una neonata da una seconda moglie, il secondo ha una moglie energica – che detesta cognato e consorte – ma apprensiva rispetto al figlio adolescente, sempre più apatico e svogliato a scuola. Insieme, una volta a settimana, celebrano il rito di una cena, in un ristorante di lusso, dove cova la cenere di un’ipocrisia che cela piccoli e grandi risentimenti. Ma questo è niente. Quando i due giovani figli, cugini molto legati tra loro, tornano tardi da una festa, non si può immaginare la piega che prenderanno le vite dei due nuclei familiari.

Dopo Gli equilibristi, bellissimo dramma sul big bang che distruggeva una famiglia (il tradimento del marito, la separazione voluta dalla moglie), Ivano De Matteo – che si ispira al romanzo La cena di Herman Koch – torna a indagare l’universo dei rapporti più stretti e intimi allargando però l’osservazione a due nuclei, pur legati dal legame tra i due fratelli. Molto diversi, fisicamente e caratterialmente, e come approccio a ogni aspetto della vita, del lavoro, della società. Ne è un esempio l’episodio che costituisce il durissimo incipit del film: una banale rissa tra automobilisti finisce in tragedia con la morte (per legittima difesa?) di un violento aggressore e il ferimento del suo giovanissimo figlio; un fatto in cui finiscono per essere coinvolti a posteriori i due fratelli, con il chirurgo che deve cercare di salvare il bambino e di aiutarlo a riprendersi dallo choc che si ribella all’idea che il fratello difenda chi ha sparato; e l’avvocato, pur con la consueta spocchia, ha buon gioco nel rispondere che «tutti hanno diritto a essere difesi». Ma reazioni diverse, per quanto mutevoli di continuo in un susseguirsi di terremoti emotivi, le avranno tutti e quattro gli adulti di fronte all’episodio che coinvolge i giovani figli Michele e Benedetta. Col conseguente esplodere di tensioni che mettono a nudo le loro debolezze come persone e come genitori.

I nostri ragazzi è un film ben fatto, segnato da una sincera urgenza nel trattare tematiche attuali, anche se incrinato da alcuni passaggi narrativi non felicissimi: l’episodio iniziale, già citato, è forte e purtroppo credibile in sé, un po’ meno per come viene realizzato; le dinamiche psicologiche e le reazioni dei sei personaggi delle due famiglie non sono sempre convincenti e coerenti con quanto conosciamo di loro, per quanto sia una storia di persone che si fanno travolgere dagli eventi e quindi esposte a perdere il controllo di quel che sta succedendo. Ma aleggia un po’ l’aria del “film dossier” di una volta in tv, ora sostituito da programmi di tv-verità come quel “Chi l’ha visto?” che qui ha un ruolo importante. Questo porta a forzare certi aspetti, per rendere più aspri i dilemmi di fondo: ma un po’ di sottigliezza in più – come nel precedente Gli equilibristi, che pure spingeva anch’esso sul pedale della drammaticità per favorire l’immedesimazione con le sofferenze del protagonista – in alcuni momenti non avrebbe guastato. Detto questo, la qualità complessiva del film è molto buona, innanzi tutto per la bravura di tutti gli interpreti, diretti al meglio da De Matteo (che nasce attore): su tutti Alessandro Gassmann, in un ruolo più complesso del solito e di quanto all’inizio ce lo presenti la vicenda, ma anche Giovanna Mezzogiorno e Luigi Lo Cascio sono in forma (mentre Barbora Bobulova è più sacrificata), e sempre più promettenti sono i giovani Jacopo Olmo Antinori (debuttò in Io e te di Bernardo Bertolucci) e Rosabell Laurenti Sellers, che dopo dieci anni di una carriera iniziata da bambina e dopo Gli equilibristi si conferma una giovane e luminosa speranza del cinema italiano (e ora, a 18 anni, vola sul set della serie internazionale Il trono di spade).

Il punto di forza del film è però appunto la sincerità e l’urgenza dell’autore, che trabocca emotivamente in una storia non equilibrata – anche l’epilogo sembra un po’ frettoloso – ma tagliente e capace di interrogare genitori e figli. I suoi interrogativi sottintesi (come si comporterebbe lo spettatore nei panni dei vari personaggi, non solo “dopo” la svolta del film, ma anche prima nelle tante piccole e grandi omissioni e lassismi?) sono centrali in una società che ha dimenticato di mettere l’educazione al centro delle sue priorità e di insegnare il senso di responsabilità verso la realtà e i propri atti. In quest’ottica, il film è prezioso non solo in alcune scene chiave (la figlia che va dal padre avvocato e suggerisce come risolvere la questione in cui si sono cacciati mette i brividi, non solo al padre) ma anche in quelle “minori”, nei tanti piccoli dettagli di rapporti malati.

Antonio Autieri