Preciso, rigoroso, senza sconti né autoassoluzioni. Il resoconto che il regista monta alternando al materiale di repertorio le interviste ai protagonisti segreti di un pezzo fondamentale della storia del Medio Oriente, è prezioso non solo come contributo di conoscenza di vicende troppo spesso semplificate dalla cronaca ma anche da tanta ideologia di parte, ma soprattutto perché dimostra una volta di più la forza di una democrazia, quella di Israele, che pur con tutte le sue contraddizioni resta un unicum in quella parte del mondo. ,Dove altro immaginare che il fondo nazionale per il cinema finanzi un'opera che racconta strategie a volte spregiudicate nella lotta al terrorismo, evidenzia gli errori (molto spesso del resto imprevedibili) delle complesse tattiche adottate, ma soprattutto non teme di essere apertamente critica con l'operato di un governo che in alcuni casi sceglie la strada del “fine che giustifica i mezzi” e in altri ha sottovalutato i rischi di rigurgiti di violenza interni? Non a caso il culmine della rievocazione è l'attentato a Rabin, ad opera non di quei terroristi palestinesi contro i quali lo Shih Bet combatte instancabilmente, ma di un estremista israeliano ostile al dialogo con l'OLP.,Ognuno con la sua personalità, tutti con una straordinaria lucidità e senza mai scaricare su altri la responsabilità anche delle scelte più impopolari (a prescindere che si siano rivelate o meno vincenti), questi uomini permettono con il loro racconto di andare oltre le approssimazioni di cui troppo spesso si rischia di restare prigionieri, partendo dalla guerra dei Sei Giorni per rileggere le scelte e le azioni che Israele ha intrapreso per tutelare la sua sopravvivenza, per scoprire talvolta il prezzo terribile di decisioni spietate e dagli esiti imprevedibili. Confrontarsi con l'esperienza di questi uomini chiamati a prendere decisioni difficilissime, ad affrontare i dilemmi di una situazione in cui le reciproche rivendicazioni, le sofferenze, l'odio e la diffidenza rendono ogni passo un azzardo, offre allo spettatore la rara occasione se non di decifrare il cuore di una situazione complessa come quella del conflitto israelo-palestinese, sicuramente di “incontrare” un'esperienza umana unica. Ciascuno di questi uomini emerge con la sua personalità, le sue contraddizioni, i suoi dubbi e le sue (poche) certezze e va a merito del regista di non aver mai cercato di indorare la pillola di una realpolitik che potrebbe suonare scioccante. Va detto che il documentario, per essere correttamente inquadrato, presuppone una conoscenza ben più che elementare delle vicende mediorientali degli ultimi sessant’anni e dei suoi protagonisti.,Sarebbe fin troppo facile, alla fine della visione, lasciarsi prendere dallo sconforto o dal cinismo per un orizzonte costellato di passi falsi, speranze tradite e odi apparentemente insanabili, che non pare presentare vie di uscita, mentre invece proprio la realtà di testimonianze come queste, di persone disposte a mettersi in discussione e per questo a guardare l'altro con occhi nuovi, può essere il punto di partenza di un dialogo. C'è solo da sperare che la stessa maturità di giudizio sia raggiunta prima o poi anche dalla controparte. ,Luisa Cotta Ramosino,