Si deve alla celebrità acquisita dal suo protagonista (Michael Fassbender, che per questo ruolo ha perso 20 chili) e della notorietà dell’ artista/regista Steve McQueen, se Hunger (realizzato nel 2008) trova la via delle sale finendo per offrire l’ideale contrappunto alla recente pellicola che ha messo insieme i due, Shame.,Laddove lì si parlava di una libertà assoluta che porta alla schiavitù (dal sesso), qui si mette in scena un luogo e dei personaggi la cui caratterizzazione fondamentale sta proprio nella privazione della libertà. ,Il Bobby Sands di McQueen, protagonista vero e proprio del film (anche se arriva in scena solo dopo il minuto 20), insieme agli altri militanti dell’Ira vive la condizione di una prigionia dura e crudele, al punto che nemmeno le guardie che praticano la violenza quotidiana contro i reclusi con straordinaria efficienza possono restare indifferenti. Evitando di cadere nell'ideologia, McQueen parte dal punto di vista del capo delle guardie carcerarie, mostrandone il risveglio e i gesti quotidiani segnati dal lavoro in prigione (le nocche ferite durante i pestaggi, il controllo della macchina sotto cui potrebbe essere stata piazzata una bomba e così via).,McQueen, però, non si ferma tanto a indagare sull’aspetto “politico” del film (non si tratta di discolpare l’Ira, visto che ci viene mostrato un attentato compiuto a sangue freddo su chi si ritiene responsabile delle violenze in carcere), ma compone quadri di straordinaria bellezza all’interno dei quali lo spettatore non può fare a meno di essere colpito dalla disumanità della condizione dei prigionieri, così come dall’inconciliabile lontananza delle posizione tra i due interlocutori, poliziotti/governo da una parte e ribelli dall’altra.,Al centro della pellicola una lunga scena di dialogo tra Bobby e un sacerdote a cui comunica la decisione di iniziare uno sciopero della fame “vero”, con la chiara idea che solo la sua morte (e quella di molti altri che seguiranno: saranno dieci i deceduti prima che la Thatcher venga incontro, senza troppi clamori ed evitando le dichiarazioni ufficiali, alle richieste dei prigionieri) potrà ottenere l'effetto voluto. Che, sembra di capire, non è solo e non tanto smuovere le autorità inglesi che li considerano dei semplici terroristi, quando dare una sorta di esempio, di spina dorsale spirituale a un movimento che ha perso la sua spinta ideale.,La scelta di Bobby (le cui conseguenze fisiche sono mostrate nel quasi totale silenzio nei successivi, durissimi 20 minuti) sfiora chiaramente l'idea del suicidio politico, e quindi appare per certi versi inadeguata la posizione del sacerdote che sembra solo metterne in dubbio l'utilità (“quando avrai vinto vorrà dire che sei morto”, gli fa osservare con pacatezza). Certo a rimanere impressa nello spettatore è piuttosto la determinazione testarda di Bobby (che si apre in brevi slanci poetici di memoria in alcuni passaggi onirici nel corso dei momenti più duri dell'agonia), tanto che nessuno sembra mai nemmeno in grado di invitarlo a desistere, nemmeno i poveri genitori a cui non resta che assistere al suo lento spegnersi. ,Sospeso tra l'estremo realismo della messa in scena e la sensibilità acuta per la composizione delle immagini (che dal blu dell’inizio virano sempre più verso il bianco), McQueen lascia allo spettatore di valutare l'impatto e il senso del gesto di Bobby, che fu eletto al Parlamento proprio mentre stava morendo di fame in carcere; certo è che a chi guarda non può che essere chiaro come le ferite inferte dall'una e dall'altra parte non potranno essere facilmente superate. ,Luisa Cotta Ramosino,

Hunger
1981. Nella prigione irlandese di Long Kesh un gruppo di militanti dell’Ira guidato da Bobby Sands inizia lo sciopero della fame. È l’inizio di una protesta destinata a durare sette mesi e a lasciarsi alle spalle dieci morti.