Già la lunghezza (quasi tre ore) lascia intuire che il film ha più della soap opera che del film biografico; e della soap opera ha anche le caratteristiche, il glamour e gli eccessi, le lotte fratricide, il potere e i tradimenti in una delle famiglie più note nel mondo della moda italiana e internazionale. Protagonisti gli eredi del fondatore, Guccio Gucci, interpretati da Al Pacino (Aldo) e Jeremy Irons (Rodolfo), il figlio Maurizio (Adam Driver) e la moglie Patrizia Reggiani (Lady Gaga), che dopo il divorzio decide di far uccidere il marito con l’aiuto di una maga della televisione (Salma Hayek).

La materia per un film giallo carico di tensione e dramma c’è tutta, ma Ridley Scott preferisce mantenersi su un tono distaccato e più biografico. A far da contraltare della compassata famiglia Gucci c’è solo Paolo (Jared Leto), che sembra non solo appartenere a un’altra famiglia, ma sembra capitato per errore dal set di un altro film. Senza talento, vestito con accostamenti che sono un pugno in un occhio, con una pettinatura e un trucco che lo rendono irriconoscibile, Paolo Gucci sembra essere messo lì apposta per aggiungere una nota di comicità in una vicenda drammatica.

Il film inizia nel 1970, quando Maurizio è un giovane studente completamente disinteressato all’azienda di famiglia. Suo padre, l’attore Rodolfo Gucci, invece vorrebbe che il suo unico figlio ne ereditasse la gestione. Fa il suo ingresso nella storia Patrizia Reggiani, che incontra Maurizio a una festa e si innamora di lui senza conoscere l’entità delle ricchezze della sua famiglia. E subito dopo l’incontro tra Maurizio e Patrizia, è il fratello di Rodolfo, Aldo, a convincere il nipote a lavorare da Gucci sotto la sua ala protettrice.

Sebbene le ambizioni di Maurizio e Patrizia inizino come modeste e innocenti, inevitabilmente diventano più audaci e più assetate di potere man mano che The House of Gucci progredisce. E qui sorge il primo problema, in quanto Ridley Scott non fa niente per rendere credibile questo cambiamento nei loro desideri. Maurizio e Patrizia iniziano a voler ripristinare la fama del marchio Gucci lottando contro contraffazioni tollerate dallo zio Aldo, e alla fine diventano anche più spietati nei suoi confronti. Ma nel film non c’è niente che spieghi la loro trasformazione nei confronti di un parente che li aveva a lungo trattati come figli.

House of Gucci è lungo ma manca dell’epica che avrebbe dato maggior dignità alla storia di questa sfortunata dinastia, sia in termini di ampiezza della cronologia, sia nel presentare un arco avvincente o addirittura particolarmente coerente al lungo e traballante matrimonio di Maurizio e Patrizia. Ci sono momenti in cui il comportamento di Patrizia è dettato da motivazioni subdole, tendendo a causare più conflitti all’interno della famiglia Gucci di quanto Maurizio vorrebbe, ma ci sono poche accese discussioni o estese manifestazioni di tensione coniugale per far presagire anche un potenziale divorzio. Se in un momento sembrano ragionevolmente felici, in quello dopo Maurizio corteggia un’altra donna (Camille Cottin), lasciando Patrizia ammutolita e sorpresa.

Parte di questa mancanza di contesto emotivo deriva dall’incapacità del film di sondare l’interiorità di Maurizio. Sebbene Driver col suo sguardo freddo trasmetta accuratamente il senso di calma e moderazione di Maurizio nella vita reale, la sua interpretazione spesso lascia incapaci di coglierne l’interiorità. Per quanto riguarda Lady Gaga, pur conferendo una certa verosimiglianza al ruolo, con la sua tensione verso un completo annullamento nel personaggio risulta spesso artificiosa. La maggior parte della colpa, tuttavia, ricade sulla sceneggiatura, che non riesce a far dei protagonisti dei personaggi pienamente definiti, raccontando con ragioni adeguate come il matrimonio di Maurizio e Patrizia si sia concluso con un omicidio; e questa tendenza a una descrizione didascalica è in definitiva ciò che affligge House of Gucci: sappiamo quello che è successo, ma senza capire il perché.

Da ultimo, ci sentiamo di raccomandare di vedere comunque il film doppiato in italiano. Nella versione originale inglese tutti gli attori, per dimostrare che i personaggi sono italiani, parlano con un accento italoamericano forzato e ridicolo a dir poco fastidioso.

Beppe Musicco