Cosa unisce una giornalista francese, un medium americano e un bambino inglese che vivono in città distanti, e in circostanze di vita molto diverse? Tutt’e tre hanno visto la loro esistenza sconvolta da alcuni avvenimenti, scatenando enigmi e domande sulla morte e sul senso ultimo della vita. ,Sopravvissuta miracolosamente allo tsunami che devasta il “paradiso” dove trascorreva una vacanza con l’amante, una giornalista francese ritorna a Parigi scioccata: sembra distratta sul lavoro, cambia interessi (a un libro su Mitterand, per cui è già in accordo con un editore, vorrebbe preferirne uno su “questi temi”, ma l’editore non è interessato…); e questo le provoca anche problemi sul lavoro e nei rapporti. A San Francisco un medium rifugge il suo straordinario dono (mettersi in contatto con i morti) che vive come una maledizione, ma c’è sempre qualcuno che lo scopre e prova a convincerlo a riprendere a fare il sensitivo professionista (nonché un fratello che lo incalza: «Non puoi scappare da quello che sei»). A Londra, il piccolo Marcus – con madre tossicodipendente – vive una perdita straziante, un dolore da cui sembra impossibile possa riprendersi…,Il nuovo film di Clint Eastwood, il miglior narratore del cinema contemporaneo (che qui prende anche ispirazione da un grande narratore del passato: Charles Dickens, citato non casualmente), prosegue il suo percorso sempre più affascinante e non privo di rischi: dopo Gran Torino, uno dei suoi capolavori, in cui metteva in scena il cambiamento imprevisto, fino al sacrificio, di un uomo alla fine della vita, qui affronta il rapporto di chi viene a contatto con la morte. Se è vero, come qualcuno ha sottolineato, che stavolta non c’è un immediato riverbero di fede (e Eastwood continua, giustamente, a non voler prendere pubblicamente posizione sui grandi temi: per lui parlano le storie narrate, da lui non scritte ma scelte), colpisce la serietà delle domande, sulla morte e sull’al di là. E quindi sul significato della vita, che non a caso cambia per i personaggi che vengono sorpresi da circostanze drammatiche. E che si trovano isolati, irrisi, incompresi da chi, quelle domande, le considera stravaganti. Non tutto convince: per esempio, e c’è qualcosa di troppo “fantasy” nel rappresentare il rapporto con i morti del sensitivo Matt Damon (peraltro molto convincente), nella cui vita entra a un certo punto una ragazza (bella l’idea del corso di cucina italiana…) per poi uscirne forse troppo bruscamente; mentre è un po’ meccanico l’innesco della crisi della scrittrice francese (brava anche Cecile De France), che si dimentica in fretta – per esempio – della bambina asiatica che era con lei durante lo tsunami (un’inedita incursione di Eastwood nello “spettacolare”, con una sequenza mozzafiato). Ma con lo scorrere della storia prevale la naturalezza del racconto, dopo l’iniziale perplessità, e la capacità di tenere avvinti alla trama fino alla fine. E sui tre episodi, uno – il più bello e non a caso il più realistico, quello del bambino straziato dalla perdita – è davvero commovente. Al ragazzino (davvero bravo, come il suo fratello gemello anche nella realtà), sono affidate alcune delle scene più emozionanti (il berretto sul letto vuoto, a casa della famiglia che lo prende in affido, lo stesso berretto che vola via nel metrò in maniera provvidenziale, la testardaggine nel non mollare la presa sul sensitivo, l’incontro con la madre), in cui Eastwood conferma la sua capacità di toccare il cuore dello spettatore contemporaneo. In un film in cui, nonostante qualche limite, dimostra un affetto, rispettoso e partecipe, per i suoi personaggi davvero raro.,Antonio Autieri,