Dopo le celebri dodici fatiche, Hercules è ingaggiato dal re Cotys per liberare la Traccia dal re stregone Reso.

Recensione

Sandalone un po’ improbabile ma avventuroso caratterizzato da un buon ritmo, da un cast brillante e da una confezione più che discreta. È diretto da Brett Ratner (Red Dragon, Rush Hour, Tower Heist) che spinge l’acceleratore sulla violenza dei combattimenti, numerosi e anche un po’ cruenti, confidando sul carisma di Dwayne Johnson che in effetti funziona come Ercole. Fisico possente, cresciuto negli anni come attore grazie anche a una lunga gavetta con tanti ruoli di secondo e anche di terzo piano, l’ex wrestler ha perso la rigidità dei suoi primi film, dimostrando anzi di poter interpretare personaggi anche diversi senza limitarsi a fare da semplice tappezzeria. Non sarà Schwarzenegger ma un po’ ce lo ricorda per il tentativo di impersonare figure ironiche e autoironiche e di uscire dal canone del divo muscolare come in Hercules, in cui l’ironia non manca e che Ratner dirige secondo la vecchia scuola: la computer grafica è tutto sommato limitata mentre grande spazio viene dato alla plasticità dei combattimenti e ai personaggi. Hercules, reduce dalle dodici fatiche impostegli da re Euristeo (interpretato da un viscido Joseph Fiennes), è in lotta contro un infame sospetto che lo incalza da tempo: si crede infatti che, in preda alla follia, abbia ucciso la moglie Megara e i tre figlioletti. Accanto a lui, una compagnia di guerrieri, più vicini nello spirito ai bruti dal cuore tenero di Stallone & Co de I mercenari che al mito originale. Amfiarao (Ian McShane), il guerriero veggente; il fedele Autolyco (Rufus Sewell), l’aedo Iolao (Reece Ritchie), l’amazzone Atalanta (Ingrid Borsø Berdal) e il violento Tideo (Aksel Hennie). Mercenari, a caccia di monete d’oro e in lotta contro barbari, pirati, predatori. Siamo, insomma, lontani dal mito originale di Ercole, di cui gli sceneggiatori Ryan Condal e Evan Spiliotopoulos, che lavorano sullo spunto della graphic novel di Admira Wijaya e Steve Moore, prendono brandelli (le dodici fatiche e la pazzia furiosa dell’eroe greco), inserendo un aspetto interessante e originale. L’idea che la divinità di Ercole, la gelosia di Era, nemica acerrima di Ercole, le stesse incredibili dodici fatiche abbiano, sì, un fondo di verità ma che la leggenda e i racconti degli aedi abbiano nel tempo creato il vero e proprio mito, usato in modo scaltro da Ercole e i suoi come arma in più contro i nemici. Da questo punto di vista, Iolao è un personaggio centrato e interessante: lui non combatte (anche se lo vorrebbe tanto) ma canta. O meglio, accompagna le gesta della compagnia degli eroi raccontando le imprese passate, le armi invincibili, i terribili nemici sconfitti. È una buona idea e una scappatoia intelligente architettata dagli sceneggiatori per prendersi delle libertà rispetto al mito classico e di concentrarsi sull’unico vero fine del film: intrattenere con botte da orbi (la battaglia con il popolo dei Bessi è ad esempio ben strutturata) e scenari esotici. Peccato solo non aver rifinito meglio le psicologie di tutti i personaggi, anche alla luce dei tanti nomi importanti coinvolti: John Hurt, nei panni di Cotys funziona ma solo fino a una svolta improbabile e mal gestita; il suo generale Sitace (Peter Mullan) è assai sprecato in un ruolo minore anche se il peggiore di tutti è Reso (interpretato dal biondo Tobias Santelmann), antagonista debole e poco efficace.

Simone Fortunato