A 40 anni esatti dall’uscita del primo, indimenticato Halloween (1978) del Maestro John Carpenter, David Gordon Green dirige un sequel che sceglie di ignorare gli altri nove capitoli (tra sequel, remake e reboot) della saga realizzati nel frattempo. Una buona premessa: se il film originale ha retto bene alla prova del tempo ed è ancora oggi considerato un pilastro, non si può dire altrettanto degli episodi successivi, dimenticabili quando non proprio evitabili.
Qui si riparte dall’essenziale: Laurie e Michael, la vittima e il carnefice. Poco dopo essere sfuggito al dottor Loomis (mitico psichiatra della saga), l’ormai famoso killer Michael (Nick Castle) è stato catturato e rinchiuso in un manicomio criminale, dove da lunghi anni risiede senza proferire parola. Laurie, invece, in tutto questo tempo si è sposata e separata due volte, è diventata madre e poi nonna, e oggi vive sola in una casa/bunker in mezzo ai boschi. Entrambi a loro modo ossessionati dal passato e isolati dal resto del mondo, Michael e Laurie sono come due facce della stessa medaglia.
La trama è abbastanza scontata, e pare seguire tutte le regole del buon sequel/omaggio al prodotto originale. Ricca di citazioni nei confronti di Carpenter e non solo, si rifà per lo più agli stilemi narrativi degli horror anni Ottanta, gli slasher movies di cui Halloween è stato forse il capostipite: storie tutto sommato basilari, che sorprendono più facilmente nello sviluppo di una sequenza che in quello della narrazione principale, fondandosi sul crescendo di tensione che ha il suo apice nello scontro finale tra inseguito e inseguitore. Perno della storia un supercattivo di cui non si conoscono mai a fondo le motivazioni: così è originariamente il personaggio di Michael Myers, e tale rimane anche in questo sequel, che non commette l’errore di voler “spiegare” un personaggio la cui forza è sempre stata l’imperscrutabilità. Come accennato nelle prime scene, Michael è semplicemente “il Male puro”, e non ci serve sapere altro.
Diverso il discorso per Laurie: già all’epoca un personaggio abbastanza rivoluzionario (da “donzella in difficoltà” si trasformava di fatto in una combattente solitaria, ancor prima della Ripley di Alien!), è qui ulteriormente rafforzata, una sorta di macchina da guerra sotto le mentite spoglie di una sessantenne del Midwest. La mitica Jamie Lee Curtis fa così il suo ritorno in grande stile, regalandoci un’interpretazione divertente e divertita del personaggio che le ha dato la fama e tuttora le sta molto a cuore.
In un ruolo affine a quello che era suo in origine troviamo in compenso la nipote adolescente di Laurie, Allyson, che insieme al suo gruppo di amici si trova coinvolta nel panico per il ritorno di Michael, e permette alla sceneggiatura di creare un ponte più concreto tra passato e presente, riproponendo situazioni familiari. Quelle che vedono protagonista Allyson sono comunque scene funzionali alla tematica principale, ovvero la paura di Laurie che Michael torni a privarla di ciò che le è più caro. Difatti, ciò che interessa di più e a cui il film naturalmente tende è la lotta tra Laurie e Michael: un gioco al gatto col topo in cui naturalmente le parti si scambiano più volte, e che grazie all’ottima regia nella seconda parte del film, in almeno un paio di sequenze raggiunge livelli di tensione degni del primo Halloween.
In definitiva, un buon sequel per i nostalgici e un buon horror per i neofiti. Nel 2018 come nel 1978, se non sapete cosa guardare la notte di Halloween, Michael Myers è sempre una buona idea.
Maria Triberti