Sboccato e irriverente (tanto da guadagnarsi in patria come indicazione di visione un prudente PG13, quindi i minori di 13 anni accompagnati da un adulto), citazionista e psichedelico, il secondo capitolo (o meglio volume, corrispondente alle amate raccolte di brani musicali che il protagonista ascolta sul fido walkman) dei Guardiani della Galassia espande la sua formula vincente a base di scambi sapidi e spettacolari combattimenti, puntando però soprattutto sulle relazioni tra i personaggi che hanno conquistato il pubblico.
Lo Star Lord di Chris Pratt, spaccone ma anche tenero, la dura Gamora, che non riesce ad ammettere i suoi sentimenti, ma è leale fino all’estremo, il coriaceo Drax, l’irritante Rocket e naturalmente il tenerissimo Baby Groot (questi ultimi due doppiati in originale da Bradley Cooper e Vin Diesel) sono gli (anti)eroi improbabili che ovviamente si troveranno di nuovo a salvare l’universo, ma soprattutto a stringere ancora di più i legami di un’anomala famiglia. È in effetti sono proprio i legami familiari (naturali o acquisiti), con il loro carico di problematicità, a costituire il cuore del racconto, sempre molto spettacolare sul piano visivo, offrendo un rilancio che si inserisce nell’universo dei racconti Marvel in una posizione per ora secondaria, ma potenzialmente essenziale alla visione complessiva.
L’elemento scatenante della storia è la comparsa del perduto padre di Star Lord, che qui ha la faccia di Kurt Russell, efficace mix di solidità e strafottenza. È lui, Ego, una sorta di divinità, a dare la possibilità a Peter Quill di scoprire finalmente il suo retaggio (in parte rivelato alla fine del volume 1), ponendolo di fronte a un dilemma circa il suo futuro. Il tema della paternità (come anche quello della fratellanza) è poi ripreso sugli altri personaggi (come il fuorilegge Yondu, che per Peter è stato una figura paterna a dir poco problematica) con diverse declinazioni che permettono ad ognuno di avere il suo spazio nel racconto senza far sentire nessuno di troppo. Così alla fine della storia il gruppo ne esce rafforzato mentre vengono lanciati i ganci per le prossime avventure, già in cantiere nelle mani di James Gunn, che è stato capace di preservare anche qui quel delicatissimo equilibrio tra realismo psicologico e gusto per l’eccesso e lo sberleffo che sono il marchio di fabbrica dei Guardiani.
I mondi presentati dai Guardiani, infatti, sono tratteggiati in modo volutamente eccessivo, nei colori e negli usi (come quello dei Sovereign, automi perfetti che disprezzano gli altri popoli). Mentre la violenza, per quanto resa meno realistica dalle coreografie musicali, è notevole ma ovviamente non mancano ampi spazi dedicati all’umorismo, che nasce dal confronto tra personaggi dai caratteri opposti e anche dai riferimenti alla cultura pop anni 90 (non a caso Peter ha sempre immaginato suo padre con il volto del baywatcher David Hasselhoff ma si ritrova con un genitore che ha la risata furbesca di Iena Plissken) e alle strizzate d’occhio agli altri titoli dei franchise Marvel. Il divertimento è garantito, anche ai non appassionati dei comic di riferimento. Con in più un finale che si apre anche a momenti sorprendentemente emozionanti e commoventi.
Luisa Cotta Ramosino