La sua è stata una vita piena: lo sport e la musica, il cinema e la famiglia. Anzi, due vite. Prima come Carlo Pedersoli, nato a Napoli nel 1929, campione di nuoto con medaglie e record e poi nazionale di pallanuoto ma anche con le prime comparsate nel cinema (tra cui in Quo vadis?, ma anche un piccolo ruolo “vero” in Un eroe dei nostri tempi di Mario Monicelli) e le esperienze discografiche come autore di testi di canzoni e colonne sonore. Poi come Bud Spencer, nome d’arte scelto per interpretare un film western italiano (come si usava all’epoca, per dare una patina di internazionalità alla versione “spaghetti” del celebre genere codificato da Hollywood) che gli rimase attaccato per sempre, fino alla sua morte avvenuta lunedì 27 giugno a 86 anni. E come Bud Spencer fece coppia con un altro attore  dallo pseudonimo diventato più famoso del nome vero: Terence Hill, ovvero Mario Girotti. Una coppia di attori che si formò nel 1967 in Dio perdona… io no! di Giuseppe Colizzi, seguito da altri due film dello stesso regista, I quattro dell’Ave Maria (1968) e La collina degli stivali (1969). Tre western veri, ancorché all’italiana, con violenza, morti, regolamenti di conti.

Fu poi il regista Enzo Barboni, in arte E.B. Clucher, a intuire che quella coppia poteva essere utilizzata, sempre sulle strade polverose del West (ma in genere quei film si giravano in Spagna o nell’Italia centromeridionale), anche in una chiave divertente, che a brutti ceffi contrapponesse una coppia di eroi loro malgrado che sconfiggesse i “cattivi” a colpi a di sganassoni. Così arrivò Lo chiamavano Trinità, che inaugurò un  filone d’oro per i produttori degli anni 70, con altri super campioni di incassi come il sequel Continuavano a chiamarlo Trinità (1971), poi anche esulando dal western gli altrettanto irresistibili … più forte ragazzi!, di nuovo con Giuseppe Colizzi (1972), … altrimenti ci arrabbiamo! di Marcello Fondato (1974), sicuramente tra i più amati della coppia, Porgi l’altra guancia di Franco Rossi (1974), dove sono due preti missionari molto maneschi. E poi I due superpiedi quasi piatti di E.B. Clucher (1977), Pari e dispari di Sergio Corbucci, Io sto con gli ippopotami di Italo Zingarelli (1979). Oltre che con Terence Hill, negli anni 70 Bud Spencer partecipa in solitaria a film d’altro genere, come Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento (1971) o Torino nera di Carlo Lizzani (1972), oppure in altre commedie senza l’abituale partner ma sempre con le sue caratteristiche di eroe simpatico e manesco, soprattutto con la serie di quattro film – tutti diretti da Stefano Vanzina alias Steno – inaugurati da Piedone lo sbirro (1973), su un commissario di polizia, ma anche con Charleston, Lo chiamavano Bulldozer, e in seguito Banana Joe, Bomber, Superfantagenio e tanti altri.

Ma lo ritroviamo ancora in coppia con Terence Hill nella prima metà anni 80, con due film di Sergio Corbucci (Chi trova un amico trova un tesoro e Miami Supercops) e due di E.B. Clucher (Nati con la camicia e Non c’è due senza quattro), dove una certa ripetitività fa coppia con una indiscutibile simpatia. Poi lo stop: non per un litigio, come tante altre coppie cinematografiche e come insistentemente tutti chiedevano loro, ma forse per fermarsi quando il pubblico ancora li amava. Ci fu una sola “ripresa”, invero modesta, con Botte di Natale nel 1994 (diretto dallo stesso Hill), molto più amato in Germania – dove la coppia è ancora popolarissima: nel 2011 i cittadini di Schwäbisch Gmünd, nella parte sudovest del Paese tedesco, chiesero di intitolare proprio a Bud Spencer un tunnel stradale – che in Italia. Ma ulteriori progetti, anche recenti, di ricostituzione della coppia non si realizzarono più.

In seguito Bud Spencer fece soprattutto televisione, sempre di successo, un po’ di film all’estero e poco altro. Ma concluse la carriera anche con un tocco di cinema d’autore, nel 2003, in Cantando dietro i paraventi di Ermanno Olmi. Forse il cinema in cui lo avrebbe voluto vedere di più la critica, come sempre mai troppo tenera di fronte ai trionfali successi del cinema “commerciale”. E questo, come un certo snobismo dell’ambiente cinematografico, un po’ lo amareggiava. Eppure pochi hanno reso popolare il cinema, specie tra i bambini e i ragazzi (chi fa oggi in Italia un cinema pensato per loro?), come quella inimitabile accoppiata formata dal biondo con gli occhi azzurri e la faccia da schiaffi e dal corpulento barbuto brontolone e dal cuore d’oro. Quel cuore che gli faceva dire, in età ormai avanzata, rispetto alla morte: «Non la temo, piuttosto da cattolico provo curiosità: la curiosità di sbirciare oltre, come il ragazzino che smonta il giocattolo per vedere come funziona». Un uomo che se ne è andato circondato dalla sua famiglia, in serenità, dicendo come ultima parola «grazie». La stessa parola che rimbalza ora sui social network, rivolta a lui, proveniente da tanti suoi ammiratori.

Antonio Autieri

PS: La stessa parola non può che essere nel cuore dell’autore di questo articolo. Che, a cinque anni, scoprì per la prima volta la magia del grande schermo con Lo chiamavano Trinità.

 

Nella foto: Bud Spencer e Terence Hill in Lo chiamavano Trinità