Una delusione, sotto tanti punti di vista. Innanzitutto la lunghezza del film (esagerata: 130 minuti di film sono e saranno sempre troppi per una commedia che si vuole brillante). In secondo luogo, la presenza di troppi momenti morti: non si ride sempre, anzi si ride poco, e soprattutto nell’ultimo episodio. Strano, perché Verdone ha sempre conosciuto bene i tempi comici – uno dei fondamenti della commedia – e sin dai suoi primissimi film è stato capace di rendere frizzanti e non banali i propri personaggi, anche quelli caricaturali. E, invece il film non funziona. L’idea di Verdone, anche su pressante richiesta dei fan (così almeno ha detto lui: in realtà il film ha incassato meno del previsto) è quella di riproporre i suoi primi indimenticabili personaggi, riadattati ai nostri tempi, più qualche personaggio più recente – la coppia coatta di Viaggi di nozze. L’impressione però è che si sia voluto raschiare il fondo di un barile ormai vuoto. A Verdone non riesce il miracolo di proporre personaggi che realmente bucano lo schermo e in qualche modo diventano simbolo e segno dell’italiano di oggi. Non riesce cioè nel miracolo di film come Bianco, rosso e verdone o Troppo forte che presentavano personaggi realmente figli di una commedia all’italiana che andava scomparendo, realmente figli di Alberto Sordi che ha sempre considerato Verdone il suo discepolo più dotato. Con Grande, grosso e Verdone, il regista romano ha voluto invece prendere la strada in discesa ma rischiosa della nostalgia da un lato e del moralismo dall’altro. Così, da un lato abbiamo personaggi, come il padre scout del primo episodio che male si adattano ai nostri tempi o personaggi come il professore universitario e il coatto che vengono guardati più che con simpatia con commiserazione dal regista che vorrebbe giudicare la società italiana attraverso la miseria o la volgarità di alcune figurine. Così abbiamo una galleria di personaggi – lo sfigato devoto alle prese col funerale della madre; il professore universitario a braccetto con il politico romano a caccia di prostitute; il cafone senza speranze – che non solo non aggiungono nulla a un Verdone regista che ha saputo negli anni prendersi cura, anche con delicatezza dei propri personaggi (si pensi a film come Compagni di scuola o Maledetto il giorno che t’ho incontrato) ma che qui si riducono a semplici macchiette strumentali per un discorso a metà tra il moralismo spicciolo e il qualunquismo più superficiale. Insomma, complice anche la produzione di Aurelio De Laurentiis che ha sempre puntato su prodotti nazional-popolari, di facile ma alla prova dei fatti desolantemente, si punta al ribasso e si passa alla cassa. Una brutta notizia per tutti, fan di Verdone compresi. ,Simone Fortunato