Invogliati dall’accattivante frase di lancio del film, prendiamo posto a tavola (cioè in platea) e partecipiamo al gustoso banchetto allestito con gusto raffinato e con cura dall’esperto Robert Altman. Siamo in Inghilterra nel 1932, e nella tenuta di Gosford Park i coniugi McCordle, Sir William (Michael Gambon) e Lady Silvia (Kristin Scott Thomas), hanno invitato parenti e amici, con i relativi servitori, a passare un fine settimana tra cene, cocktail e battute di caccia. Il mondo di Gosford Park viene in questo modo diviso in due: nei saloni e nei giardini si snodano le vicende dei nobili, tra vecchi rancori e nuove ripicche; nelle cucine e nelle retrovie serve e camerieri si scambiano pettegolezzi sui loro padroni, ognuno dei quali – chi più, chi meno – ha uno scheletro da nascondere nello splendido armadio. Nei bui sottoscala e nelle camere da letto, infine, i due mondi sono destinati a venire in contatto con conseguenze a volte inaspettate. Tra gli ospiti dei McCordle, ad affollare la villa, anche la star di Hollywood Ivor Novello e il suo produttore Morris Weissman (personaggi realmente esistiti, interpretati rispettivamente da Jeremy Northam e Bob Balaban) mentre l’attore emergente Henry Denton (Ryan Phillippe), sotto le mentite spoglie di un valletto, prende appunti per il suo prossimo film sul mondo dell’alta società inglese. Molteplici tensioni, dunque, si accumulano e, tra una partita di bridge e l’altra, il padrone di casa viene assassinato. Chi sarà stato?,Nonostante l’impianto “alla Agatha Christie” e l’estrema correttezza verso gli spettatori, a cui viene svelato l’intrigo senza barare, non è però un giallo tradizionale quello che Altman mette in scena: che non sia un eroe dell’induzione (come i detective infallibili della Christie, come Hercule Poirot e Miss Marple) a venire a capo della matassa, lo si capisce già dall’entrata dell’ispettore Thompson (un grande Stephen Fry), paludato in un impermeabile e incollato ad una pipa, troppo simile fisicamente a Sherlock Holmes per poterne avere le stesse capacità investigative. Se il poliziotto (assai più simile al Clouseau della Pantera rosa) brancola nel buio, tra i nobili regna l’indifferenza. I loro comportamenti sono tratteggiati da Altman ora con affettuoso sarcasmo (se la polizia chiede a tutti di non abbandonare la villa fino alla risoluzione del mistero, la massima preoccupazione per la contessa di Trentham – una bravissima Maggie Smith – è di non avere abiti a sufficienza), ora con ironico distacco (la fresca vedova che non perde tempo e trova subito un sostituto per il talamo). Chi potrebbe decifrare l’enigma è l’attorucolo americano, che ha curiosato sia nei piani alti sia in quelli bassi. Non fa però le domande giuste, né scava abbastanza nel torbido, un po’ perché non gli interessa, un po’ perché in Inghilterra non sempre serve ragionare in dollari. La verità emerge, ma per poco e solo per alcuni, proprio tra le serve e gli sguatteri, lì dove al riparo da ipocrisie e snobismi i rapporti sono più autentici. È in questo sottobosco – e scopriremo perché – che vivono le persone che nei riguardi della vittima provavano vero amore o vero odio. Ma forse abbiamo già detto troppo. Con la consueta scioltezza, Robert Altman – qui in uno dei suoi ultimi film – gestisce l’intrecciarsi di numerose vicende regalando a ogni personaggio un profilo coerente e ben delineato. Ad aiutarlo, c’è una compagine di attori – quasi tutti inglesi – davvero formidabile, tra cui sembra doveroso citare, tra i non ancora menzionati, almeno il maggiordomo di Alan Bates, la governante di Helen Mirren e la cuoca di Eileen Atkins. Né il regista però, né gli attori poterono prendere parte all’abbuffata notturna dei premi Oscar (candidato a sette statuette, l’unico premio andò all’eccellente sceneggiatura di Julian Fellowes) ma sarebbe stato strano che un film così intinto nell’arsenico battesse l’etica-estetica della Hollywood mainstream, a cui di solito va la gloria dei premi (va detto che a trionfare quell’anno, meritatamente, fu un altro grande film: A Beautiful Mind). Premiato quell’anno con il Golden Globe per la miglior regia, Altman riceverà un Oscar per la carriera nel 2006, a suggello di una filmografia davvero straordinaria di cui Gosford Park rappresenta una delle ultime e preziose perle. ,Raffaele Chiarulli