È di per sé uno shock ritrovare il protagonista del bellissimo e delicato The Artist, nonché fresco vincitore di Oscar, Jean Dujardin al centro (è il caso di dirlo, è uno degli interpreti principali, in vari ruoli, ma anche sceneggiatore regista e pare ispiratore primo della pellicola) di questo film a episodi che esplora vari casi di infedeltà maschile con toni che variano dal farsesco, al drammatico, alla commedia.
Nessuna delle brevi storie messe in scena (se non quella firmata dall’unica mano femminile, “La domanda”) riesce a offrire qualche brivido di reale empatia nei confronti dei personaggi, uomini (le donne sono poco più che figurine di sfondo, oggetti di desiderio sessuale e di possesso, o mogli rompiballe stanche di custodire il nido) superficiali, meschini e senza dignità, alla ricerca della conquista facile in discoteca, nei locali, sul lavoro e comunque dove capiti. La scusa è quella ormai vecchia dell’uomo cacciatore, programmato così dalla natura per spargere il suo seme e la morale contemporanea non concede possibilità di giudizi ulteriori. Al massimo, come in uno degli episodi, si può ricorrere a una terapia di gruppo nel tentativo impossibile (uno dei partecipanti è arrivato a collezionare 18 edizioni senza evidentemente trarne alcun profitto) di una rieducazione. Se il tradimento è iscritto nel DNA e di ragioni per non “procedere” non se ne trovano, che altro c’è poi da dire? Al limite resta il bisogno di sincerità, ma c’è da dubitare che possa essere la soluzione a qualsiasi ferita.
Di risate, anche quelle amare della commedia all’italiana di cinquant’anni fa, cui il film si ispira, ce ne sono poche (anche l’esito finale della parabola dei due “Dongiovanni a Las Vegas” è prevedibilissimo), di approfondimento ancora meno e mentre si cerca di arrivare in fondo a oltre cento minuti di sesso indigesto e un po’ ripetitivo, l’unica cosa da salvare sono le interpretazioni dei protagonisti: Dujardin e Lellouche, soprattutto, che si ripropongono nei panni di vari personaggi e riescono dare a ciascuno, nei limiti di una narrazione poverissima, tic, personalità e sfumature. Non si può fare a meno di desiderare che si fossero applicati ad un materiale migliore.
Laura Cotta Ramosino