Due recensioni per questo film che ha molto diviso critica e pubblico: al nostro severo giudizio affianchiamo un intervento esterno molto interessante – di un blogger molto acuto, nonché fedelissimo della nostra rassegna milanese la Febbre del lunedì sera – che ci convince a riequilibrare il giudizio: pur mantenendo le noste perplessità, l’insieme di queste considerazioni ci spinge ad alzare il voto a “interessante”
Lo schizofrenico Kevin Wendell Crumb ha rapito altre ragazze che tiene in uno scantinato, pronto a sacrificarle all’insaziabile Bestia (la sua 24ma e più pericolosa identità), ma a dargli la caccia c’è un uomo misterioso che altri non è che David Dunn (il protagonista di Unbreakable – Il predestinato). Vengono catturati entrambi dalla polizia e rinchiusi in un ospedale psichiatrico, dove si trova da 19 anni Elijah Price, il fragilissimo ma geniale “uomo di vetro” (da cui il titolo Glass) che fu alter ego di Dunn. E mentre la professoressa Ellie Staple cerca di analizzare il comportamento di Kevin e di tutta l’orda di sue personalità, Elijah – tenuto sedato per tutto quel tempo – cerca la sua rivincita e di affermare la sua teoria sugli uomini “super eroi”.
Sembrava intrigante, alla fine del precedente film Split (buon horror del 2017, in cui era notevole soprattutto la prova di James McAvoy con le varie personalità del protagonista schizofrenico), il progetto di M. Night Shyamalan di legare, con Glass, due film così diversi e lontani nel tempo come lo stesso Split e Unbreakable – Il predestinato, film che veniva dopo l’enorme successo de Il sesto senso e che prometteva molto salvo spegnersi in un finale confuso e un po’ deludente. Ma comunque un film pieno di spunti, con una qualità visiva molto alta, con un personaggio forte come quello di Price interpretato da Samuel L. Jackson cui il protagonista Bruce Willis, il sofferto e “miracolato” David Dunn, eroe suo malgrado, teneva testa con misura. Stavolta invece viene fuori un vero pasticcio, che rischia di non soddisfare chi sa poco dei precedenti film ma anche irritare chi li conosce e perfino chi li ha apprezzati molto. Se Kevin e le sue molteplici personalità sono sempre inquietanti e rese al meglio da un ottimo McAvoy, i personaggi di Bruce Willis e soprattutto Samuel L. Jackson hanno perso molto della loro forza, e della loro specularità sembra quasi non interessare più. Meglio i tre personaggi minori – la madre di Elijah, il figlio di David Dunn (interpretato dallo stesso Spencer Treat Clark che era bambino in Unbreakable) e Casey, la ragazza sopravvissuta al primo film – che regalano i pochi momenti di umanità al film.
In un’alternanza tra momenti di “pensiero” noiosi e un po’ deliranti e momenti action poco coinvolgenti e ripetitivi, il film si trascina stancamente e con parecchie incongruenze logiche – per usare un eufemismo verso voragini di sceneggiatura – fino al suo finale portando spesso i suoi spettatori a chiedersi il senso della spericolata operazione, che trasforma in trilogia tre film molto slegati l’uno dall’altro. Per carità, di sequel che si rivelano crossover ne è pieno il cinema, come dimostrano i “veri” film sui supereroi. Ma occorre un rigore che manca del tutto in un film in cui il tocco di M. Night Shyamalan, peraltro smarrito da tempo, sembra definitivamente perso. A partire da colpi di scena che un tempo erano memorabili, e che adesso non ci smuovono un muscolo.
Luigi De Giorgio
David Dunn e la Bestia sono catturati e condotti, dopo un brutale scontro, nella clinica psichiatrica dell’enigmatica dottoressa Ellie Staple il cui lavoro è curare persone convinte di essere speciali. David è neutralizzato con l’acqua (suo punto debole), mentre la Bestia con flash luminosi che portano alla luce le altre personalità di Kevin. Mr. Glass, anch’egli in cura, sembra fuori gioco, come lobotomizzato, ma in realtà la sua mente geniale è più attiva che mai: un burattinaio che studia e mette in atto un diabolico piano (da autentico supercattivo) per dimostrare al mondo l’esistenza dei supereroi, facendo scontrare David e la Bestia in un duello finale all’ultimo sangue, ove ogni tassello è rimescolato e niente è ciò che si credeva fosse. Uno scontro non di epiche proporzioni, ma di epici personaggi che devono vincere se stessi prima di sfidare la loro controparte fumettistica.
M. Night Shyamalan disegna con colori sgargianti, che ben definiscono i contorni dei personaggi (stilizzati e profondi, magnifici ed estremi), uno storyboard di un cinecomic che cinecomic non è: se nei precedenti due episodi il regista e sceneggiatore indiano ha costruito archetipi convincenti, completi nel carattere, ma in fase di definizione, qui li destruttura, attraverso escamotage narrativi, portando a credere che il loro dono non sia altro che una condizione psichica da curare. Un meta-cinecomic che si appropria delle caratteristiche del superhero movie e del thriller avvolto nel mistero.
Una storia sulle origini di vigilanti, supereroi, antieroi, supercattivi e organizzazioni segrete. M. Night Shyamalan conclude una solida trilogia che mantiene intatte le premesse iniziali e le evolve, così come i personaggi che crescono in potere e coscienza di sé, arrivando alla fine del loro viaggio di formazione in cui hanno vissuto nella normalità la loro straordinarietà. Samuel L. Jackson con il suo carisma eclissa la marmorea presenza di Bruce Willis e la magistrale interpretazione di James McAvoy (in stato di grazia nello sfoggiare le incredibili personalità di Kevin).
Sapete come si fa a distinguere il cattivo dal buono? Perché è l’esatto opposto dell’eroe e molto spesso sono amici, uniti a fronteggiare un nemico comune. Le motivazioni che spingono i personaggi sono il punto cardine di una storia che muta di genere e scava in profondità nell’anima dei fumetti, portando alla luce una nuova creatura cinematografica dal carattere unico e inconfondibile firmata M. Night Shyamalan che, attraverso twist narrativi ed efficaci flashback, compone un’opera non a prova di difetti, non autonoma come i precedenti due episodi, ma che, poggiandosi saldamente su di essi,si eleva a gioco di genere tra il meta-cinematografico e il meta-fumettistico e infine si divide in frammenti di vetro che si pensava infrangibile. Temprato in modo unico, come un fumetto in edizione limitata.
Alessandro Pin