Non si tratta con i criminali. Questa è la morale elementare che le quasi due ore di ammazzamenti efferati e creativi di Giustizia privata ribadiscono fino allo sfinimento e con un compiacimento per la violenza messa in mostra che fa sorgere più di un dubbio sull’onestà dell’assunto.,Clyde Shelton, all’apparenza tranquillo padre di famiglia, già provato dallo stupro e dall’uccisione di moglie e figlia (su cui la regia indugia con un dettaglio certo funzionale all’esasperazione successiva, ma di sicuro eccessivo), prende la via di una vendetta esagerata, complessa e perversa dopo che “il sistema”, nei panni di un procuratore troppo ambizioso, di un avvocato privo di scrupoli e di un giudice troppo garantista, hanno decretato il trionfo di una falsa giustizia.,A fargliela pagare ci pensa lo stesso Clyde (in realtà un geniale progettista di omicidi per conto dei servizi segreti), che dalla cella dove si fa spedire dopo il primo omicidio manovra un meccanismo a orologeria capace di mettere in ginocchio un’intera città.,Il cinema americano non è nuovo a storie come questa, che cavalcano l’onda di un’indignazione populista, della ribellione al sistema e ai suoi rappresentanti, cinici o inefficienti nel combattere crimine e violenza, e che ha uno dei suoi più illustri rappresentanti nel “giustiziere della notte” Charles Bronson. Qui però l’elaborata fantasia delle “punizioni” messe in scena (è questo di certo il termine giusto per il teatro organizzato da Clyde) e l’indugiare della camera sui loro particolari ben oltre la ragionevole decenza rimandano più a Seven, Il silenzio degli innocenti, al filone horror stile Saw.,Qui, però, le inverosimiglianze si accumulano, l’approfondimento dei caratteri (nonostante il buon cast messo in campo) decisamente modesto e l’istanza ideologica per lo meno ambigua, sia per l’estetica grondante sangue messa in campo che per il ricatto psicologico di bassa lega imposto dall’inizio truculento.,Ci interessa poco l’assunto perseguito da Clyde e la poco condivisibile morale che il procuratore Nick Rice (che dovrebbe essere il protagonista della storia, ma che non dimostra né molta intelligenza né grande capacità di crescita durante il corso della pellicola) dovrebbe imparare da questa scia di sangue. Anche nel filone dei “film di vendetta”, che pure non sono fatti per piacere a chiunque, c’è il mestiere e l’onestà artistica. Qui latitano entrambi.,Laura Cotta Ramosino,