Guido Montani scrive romanzi. Non è sicuro di avere talento, ha iniziato tanti anni prima per mettere su pagina le parole che non aveva il coraggio di dire a una ragazza. E adesso, sposato e padre di una ragazza adolescente, appare in crisi: finalista al premio Malaspina, vive quella fase di attesa – le cene, le iniziative promozionali – come in sospeso, mentre le idee per un nuovo romanzo si intrecciano senza chiarezza (e si visualizzano davanti ai nostri occhi: divertente lo spunto per L’uomo degli ombrelli, innamorato della negoziante; molto meno quella del prete che va per locali a luci rosse) e l’empasse creativo lo blocca ancora nella casa disabitata mentre la famiglia trasloca ormai nella nuova abitazione. Sostituendo in un corso di nuoto la figlia che non ne può più, si rinchiude spesso in piscina, con un’istruttrice di nuoto che cerca di insegnargli maggior scioltezza. Intanto i due si confidano, simpatizzano, sviluppano un sentimento tra l’amore (anche fisico) e la solidarietà. Ognuno ha ferite e disagi esistenziali: ma se lo scrittore è soprattutto uno che non sa scegliere, decidere e forse amare (ma è convinto di sé: e alla donna dice, “non so nuotare ma so stare a galla: appoggiati a me, non riesci a farmi andare sotto”), la donna ha un passato addirittura tragico, con una famiglia abbandonata che non la vuole più vedere e un morto sulla coscienza. Si aiuteranno o non c’è speranza per loro?,Il nuovo film di Giuseppe Piccioni, a cinque anni dal sottovalutato La vita che vorrei, ripropone pregi e difetti delle opere precedenti del regista marchigiano. Come sempre, i suoi personaggi principali sono indecisi, deboli, anche pavidi; e queste caratteristiche – stavolta ancor più che negli ultimi film: da citare anche Fuori dal mondo e Luce dei miei occhi – si traducono ancora una volta in indeterminatezza narrativa. Si aprono tante strade nel film di Piccioni: la critica dell’ambiente intellettuale snob, la mediocrità dell’intellettuale-artista che in fondo sa di non essere all’altezza, l’incomunicabilità di coppia, la possibile seconda possibilità che la vita fornisce ai due protagonisti. Quest’ultimo tema sembrerebbe il più interessante e coinvolgente (poche cose annoiano il pubblico “normale”, salvo rare eccezioni, come i tormenti di registi e scrittori nei film; anche se l’ambiente letterario è descritto in maniera suggestiva): in particolare, Giulia – che non esce la sera, come da titolo, per le conseguenze del suo segreto – a poco a poco vince ritrosia e diffidenza verso lo scrittore Giulio e, nell’ambiente ovattato e protetto della piscina, intreccia un rapporto di fiducia. Ma le difficoltà reciproche, nonostante l’aiuto che Giulio decide di regalarle per ritornare in contatto con la figlia, a un certo punto sembrano insormontabili.,In Giulia non esce la sera, nonostante temi e sentimenti potenzialmente forti, non scatta la simpatia per le vicende dei personaggi trattati. La crisi matrimoniale di Guido con la precisa e noiosa moglie Benedetta non avvince, e si salvano soprattutto gli interni che parlano da soli (la casa disabitata dove Guido rimane a scrivere da solo) a causa della freddezza dei personaggi di Valerio Mastandrea (un po’ a disagio nel ruolo) e di Sonia Bergamasco. In generale, Guido come protagonista richiedeva forse una maggior adesione da parte dei suoi autori (Piccioni e Federica Pontremoli), che invece lo rendono poco simpatico ma anche a tratti poco credibile (Mastandrea non ha molto il “physique du role” dello scrittore); diverso il discorso per Giulia, il personaggio più vero del film grazie alla consueta, ottima interpretazione di Valeria Golino che ancora una volta riesce a emozionare con pochi sguardi e a tratteggiare la figura di una donna distrutta dal senso di colpa. Da ricordare la sequenza – commovente e dolorosa – dell’incontro tra lei e la figlia che non vedeva da anni, con una giovane attrice (Sara Tosti) che le tiene testa e riproduce la capacità di trattenere i sentimenti anche più esplosivi della collega più matura. Per il resto, Piccioni riproduce appunto la consueta confusione esistenziale moderna che però riecheggia in un’indeterminatezza narrativa che non giova al film (nonostante qualche trovata come la coppietta in crisi di adolescenti seriosi e buffi con le loro schermaglie). Salvo proporre, nel finale, snodi e colpi di scena fin troppo a effetto e scontati al tempo stesso. Finale che non solo concede poco allo spettatore, ma che sembra rispondere più a logiche di programmatica disperazione che a uno sviluppo realistico della personalità dei personaggi.,Antonio Autieri