J’accuse di Roman Polanski premiato a Venezia

Devono aver litigato parecchio, sostengono tutti, per partorire un verdetto così variegato al termine della 76a Mostra del Cinema di Venezia (che si è svolta dal 28 agosto al 7 settembre): si parte da Franco Maresco, ex Cinico Tv, e si finisce con il film più hollywoodiano del mazzo ovvero Joker… Meglio così che il contrario, intendiamoci: e infatti, da come si era messa la serata, con i primi riconoscimenti del concorso ufficiale (dopo i sempre più numerosi premi alla sezione “bis” – non chiamiamola “serie B” – denominata Orizzonti: non saranno diventati troppi?), ci stavamo seriamente preoccupando. E si confermavano le nostre più fosche previsioni all’annuncio che la presidente di giuria fosse l’argentina Lucrecia Martel, regista argentina parecchio sopravvalutata: solo 4 film all’attivo, tipicamente da festival, ovvero quel tipo di cinema anche con spunti intriganti ma spesso soffocante e tedioso. Amata dai critici, poco conosciuta dal pubblico. Un azzardo, che le prime dichiarazioni anti-Roman Polanski (sembrava contraria al film a priori, per il suo noto caso giudiziario negli Usa alla fine degli anni 70 che riguardava rapporti con una minorenne) sembravano confermare; come pure le indiscrezioni che la facevano parteggiare per film di area geografica affine (Ema di Pablo Larraín) o molto autoriali e punitivi (il “sadico” The Painted Bird di Vaclav Marhoul), da noi cordialmente detestati. C’è da dire che gli altri giurati, tra cui l’italiano Paolo Virzì, devono aver fatto da contrappeso a una cineasta meno autorevole di altri chiamati a guidare una giuria; e quindi – aspetto positivo, alla fine – meno capace di imporre il suo volere, come talvolta succede. Peraltro abbiamo visto grandi registi avallare orribili palmarès: ai festival capita davvero di tutto…

Al dunque, accettiamo quindi anche i premi che non condividiamo. Non ci ha mai convinto il cinema cupo di Maresco, e non sarà la nazionalità a farci apprezzare un premio al suo La mafia non è più quella di una volta (si legga quanto scritto dal nostro Beppe Musicco nel nostro diario veneziano), che richiama il precedente Belluscone e che anche i critici italiani hanno accolto con poco entusiasmo. Ci sembra molto generoso al premio alla sceneggiatura al film di animazione cinese scritto e diretto da Yonfan (che ha pure ammesso che in passato gli hanno sempre detto che “scrive male”…); e al limite della provocazione il premio alla regia allo svedese Roy Andersson, soli 75 minuti – che sembrano il doppio – ma di immagini fisse alla maniera del suo precedente film (Leone d’oro, ahinoi) con l’ormai proverbiale Piccione seduto sul ramo… Pure un paio di premi agli interpreti, pur meritevoli, ci hanno lasciato perplessi: come interprete emergente, non è sbagliato premiare Toby Wallace per Babyteeth di Shannon Murphy ma ancor più lo sarebbe stato “laureare” l’ottima protagonista, Eliza Scanlen, più giovane e con minor curriculum prima di questo film (ma la rivedremo presto). Come miglior interprete femminile, non ci lamenteremo certo perché Ariane Ascaride è un’attrice meravigliosa: ma, sinceramente, ci aveva impressionati di più in molti altri film, anche dello stesso regista-marito Robert Gédiguian che in Gloria mundi si ripete parecchio. Dal duello Catherine Deneuve-Juliette Binoche poteva uscire la vincitrice, perfino Mariana Di Girolamo protagonista del brutto Ema poteva starci; anche se la nostra preferita era Scarlett Johansson, intensissima nel meraviglioso Marriage Story. Film, per inciso, ingiustamente dimenticato dai premi.

Luca Marinelli premiato per la sua prova in Martin Eden

Quanto a Luca Marinelli, la sua Coppa Volpi ci sembra assolutamente meritata per l’ottimo Martin Eden di Pietro Marcello; ma è evidente che lo ha aiutato la regola veneziana di non dare due premi al film che vince il Leone d’oro. Nessuno sul pianeta Terra, altrimenti, avrebbe evitato di premiare Joaquin Phoenix, giustamente portato sul palco da Todd Phillips all’atto di ritirare il Leone d’oro: come dire, metà del premio – e forse di più – è suo…

Ma alla fine quel che rimane in mente sono appunto i premi principali. E quest’anno è come se, anche per la polemica/autogol già citata di inizio Mostra, oltre a Joker a vincere sia stato anche J’accuse di Roman Polanski che con il Gran Premio della Giuria vince il secondo premio. Sarebbe stato un degnissimo Leone d’oro, a detta di tutti; ma per come si erano messe le cose, appunto, è un gran successo. Come confermavano, in sua assenza (come succede ormai quasi sempre, fuori dalla Francia), la commozione della musa e moglie Emmanuelle Seigner e la soddisfazione del coproduttore e amico Luca Barbareschi che dicevano più di ogni parola (mentre ci è sembrata molto imbarazzata Lucrecia Martel: chissà se per le polemiche o per aver dovuto subire un premio non voluto). La storia di Dreyfus ci pare di tale attualità da superare ogni altra questione: J’Accuse colpirà anche il pubblico nei cinema (sempre che il titolo italiano, L’ufficiale e la spia, non lo confonda).

Tornando a Joker, è un film che ha sorprendentemente messo d’accordo tutti o quasi: gli spettatori, i critici e infine i giurati (anche se non c’è stato voto all’unanimità, pare uno solo fosse contrario). Magari per motivi differenti: chi ha amato lo stile e i rimandi a film anni 70 e 80 (si è parlato soprattutto di Taxi Driver e di Re per una notte, entrambi di Martin Scorsese; ma c’è tanto altro) e chi il dramma umano di un “cattivo” che non ci lascia indifferenti; chi ha amato la tesa spettacolarità e l’intreccio a tratti adrenalinico e chi gli echi politici, con accenni al tema della rivolta al Sistema (ne ha fatto cenno anche Lucrecia Martel). Ma nonostante i consensi, in sede di commento più d’uno ha comunque trovato una forzatura premiare un blockbuster hollywoodiano, prodotto da DC Comics (anche se non ci tratta certo di un cinecomic, almeno in senso classico, anche se il personaggio viene dal mondo dei fumetti).

Qui però bisogna intendersi: Venezia, come Cannes, deve premiare l’eccellenza? E allora anche i “grossi” film devono poter partecipare (complimenti al direttore Alberto Barbera per il coraggio) e poi ricevere premi; altrimenti torniamo alle vittorie dei film da “promuovere”, anche se magari dimenticabili (e dimenticati: ce ne sono una sfilza infinita negli albi d’oro dei grandi festival). Ovviamente i gusti sono soggettivi, chiunque potrà citare altri film che potevano vincere; e così altre giurie avrebbero potuto fare altre scelte. Ma nel mazzo di quelli che potevano meritarlo – a nostro parere, oltre al già citato Polanski, anche Marriage StoryJoker ci sta benissimo. Ed è forse un premio significativo proprio perché rompe, finalmente, un tabù. Anche il più forte, se è il più bravo, deve poter vincere. Altrimenti, che gioco è?

Antonio Autieri