Beth (Emilia Jones) è una ragazza appassionata di racconti grotteschi e a sua volta scrittrice dalla fervida immaginazione. Si trasferisce insieme alla madre (Mylene Farmer) e alla sorella Vera (Anastasia Philips) nella desolatissima casa della defunta zia Clarissa, situata ai confini di un bosco e piena zeppa di bambole da collezione. Il viaggio non è dei più felici, con i continui litigi tra le sorelle e uno strano camion di dolci che sorpassa la loro auto, suonando rumorosamente. Giunte a destinazione, le tre saranno presto catapultate in un incubo di paura e violenza al di là dell’umana sopportazione…

Dopo il chiacchieratissimo Martyrs (2009) – e un passaggio nel thriller con I bambini d Cold Rock(2012) –  Pascal Laugier torna al cinema con un altro film horror. I toni sono cupi e ossessivi sin dall’apertura, che ci presenta personaggi iper-stereotipati e perfettamente calati nei loro ruoli: la ragazzina strana ma geniale che scrive racconti sembra uscita da un film di Tim Burton, mentre la sorella maggiore è la tipica adolescente gelosa della sorella e scontenta di una madre che vuole incoraggiare il talento della figlia minore. Il viaggio in auto è accompagnato dalla lettura di una delle inquietanti storie di Beth, alla quale fa seguito l’apparizione del camion di dolci, che nel giro di qualche scena diventerà protagonista del loro incubo.
L’atmosfera e le strategie di attesa dell’imminente disastro sono giocate con intelligenza in questa sorta di prologo, che ci introduce al cuore del film modulando una tensione in costante crescendo. I problemi arrivano nel momento in cui a personaggi stereotipati e a trame prevedibili si affiancano ambientazioni e situazioni che sfruttano tutto l’immaginario horror degli ultimi 40 anni, a partire dalla casa isolata per arrivare al cattivissimo orco duro a morire, passando per la terrificante collezione di bambole della zia defunta. L’iper-citazionismo di Laugier è però un gioco di stile, che prepara ad una serie di colpi di scena mirati a confondere il piano del sogno con quello della realtà: divertendosi con la scrittura il regista rimescola dunque le carte in tavola attraverso continui salti temporali, che spiazzano lo spettatore sulle prime, ma che già alla metà del film si sono rivelati nella loro reale natura. Apprezzabile lo sforzo di caratterizzazione psicologica della protagonista, che si ritrova a fare squadra con la sorella per sconfiggere un trauma e una malvagità che sembrano inaffrontabili. Tutto ciò che segue si riduce tuttavia a una rielaborazione di oggetti, gesti e sequenze già viste in troppi film per non dare l’impressione di un enorme déjàvu, annaffiato da una discreta dose di sangue e rinnovato in extremis da un cattivo “secondario” completamente muto ed efficacemente costruito.

Il finale poi si scioglie anch’esso nel consueto tira e molla tra aguzzini apparentemente immortali e vittime che sul più bello si ritrovano scaraventate di nuovo nel terrore. Molto buone le prove di tutti gli attori, in un’opera che tutto sommato si lascia guardare, ma che di fatto si limita a tagliare e ricucire modelli e materiali di seconda mano, senza avere mai avere davvero l’audacia di aggiornare il suo repertorio.

Maria Letizia Cilea