Basato sull’anime di Mamoru Oshii del 1995 (a sua volta trasposto dal manga di Masamune Shirow del 1989), e sempre con lo stesso nome, Ghost in the Shell è un live-action del genere cyberpunk, ambientato in un futuro simile a quello descritto in Blade Runner o ne Il quinto elemento. L’azione si svolge in una città orientale, dai palazzi che si innalzano senza soluzione di continuità, con una popolazione degna di un formicaio e gigantesche pubblicità animate tridimensionali (gli esterni sono stati girati a Hong Kong, truccata con una robusta dose di CGI). Un ambiente dove la realtà e il virtuale si corteggiano e si mescolano, dove la gente si fa impiantare protesi e potenziamenti cibernetici per migliorare aspetto e prestazioni.
In questo mondo vive il maggiore Kusanagi (Scarlett Joahnsson), il cui cervello dopo un incidente viene impiantato nella struttura di un cyborg. Il suo corpo è sintetico e meccanico (e le scene che illustrano la sua realizzazione sotto la guida della dottoressa Ouelet, interpretata da Juliette Binoche, lasciano veramente a bocca aperta), ma all’interno c’è la coscienza di un essere umano: proprio lo “spirito nel guscio” del titolo inglese. Una vita che, per quanto avventurosa possa essere per il maggiore Kusanagi e per la sua Sezione 9 occupata a combattere i cyber terroristi, non la protegge dalle domande sulla sua vita passata e dai suoi ricordi (un tema già toccato da Robocop nel lontano 1987). Assieme a lei spiccano Batou, dagli occhi artificiali (l’attore danese Pilou Asbæk) e il loro capo Daisuke Aramaki (l’attore e regista giapponese Takeshi Kitano, l’unico a esprimersi sempre e solo in giapponese). La Sezione 9 è sulle tracce di un pericolosissimo hacker di nome Kuze (Michael Pitt), che ha come scopo la distruzione della Hanka Robotics, la società che produce corpi cyborg (come quello di Kusanagi). Ma più si addentra nelle indagini, più il maggiore capisce che c’è un mistero nella sua vita, che la Hanka stessa tiene nascosto.
Ci sono state polemiche, quando venne annunciato il cast, sul fatto che per interpretare una donna orientale la scelta cadesse su un’attrice americana, e può darsi certamente che il ruolo avrebbe potuto essere ricoperto egregiamente da un’interprete cinese o giapponese. Bisogna ammettere però che l’aver già recitato negli anni scorsi ruoli similari in Under the Skin, in Lei (anche se solo con la voce) e in Lucy la rende un interprete assolutamente adatta e credibile. Se l’ambientazione cyberpunk richiama Blade Runner, i combattimenti non possono che far pensare a Matrix, anche se abbondantemente influenzati dall’ormai onnipresente influenza Marvel. Al di là delle stupefacenti immagini rimane però una freddezza di fondo, che l’apporto forzatamente limitato degli attori non riesce a superare fino in fondo: le emozioni, anche per chi ritrova la propria coscienza o le dà sfogo, rimangono sempre molto contenute (sarà anche per il pubblico orientale di cui bisogna tener conto). Un’operazione comunque avvincente e visivamente molto coinvolgente, cui bisognerà prestare attenzione per vedere se il film diventerà poi sorgente di altri episodi e avventure.
Beppe Musicco