Non è la prima volta che la comicità va a braccetto con la morte. Senza scomodare i capolavori del grande Chaplin, Man on the Moon di Milos Forman aveva raccontato, con un realismo e un gusto del grottesco davvero brucianti, proprio questo: come la risata, o meglio la maschera della comicità, possa convivere con la realtà drammatica della malattia e della morte. Judd Apatow, autore del positivo Molto incinta e di una serie di film segnati da una comicità spesso greve e volutamente scorretta, prova a dirigere un film in questa direzione. Film insolito, sia per la durata (quasi due ore e mezza), eccessiva comunque per un film “leggero”, sia per il contenuto a tratti autobiografico. La vicenda è molto semplice: un comico alla prese con una gavetta durissima, Ira (Seth Rogen, già protagonista proprio di Molto incinta), sorta di alter ego proprio del regista, diventa assistente-confidente personale di un comico di grande successo che ha appena scoperto di aver una grave forma di leucemia che non lascia scampo. Seguono vicissitudini lavorative e affettive. Tanti difetti, forse troppi: la lunghezza spropositata in primis, una volgarità esagerata e spesso non necessaria, un doppiaggio che penalizza le molte divertenti battute. Eppure, nonostante gli evidenti limiti, non si può non riconoscere ad Apatow e alla sua combriccola di attori (oltre a Rogen, anche Adam Sandler e molti caratteristi già presenti proprio in Molto incinta) una sincerità di fondo. In particolare il rapporto tra i due protagonisti è molto ben raccontato e approfondito e, dietro allo schermo della volgarità e della battutaccia, evidenzia una reale necessità: la vicinanza di una persona amica, in un mondo spesso tanto ricco di conoscenze e rapporti superficiale quanto denso di solitudine da un punto di vista esistenziale. Il modo non banale, anzi decisamente controcorrente, con cui si risolve la questione affettiva e con cui viene restituita l’immagine di una famiglia che come già in Molto incinta, appare sì problematica (“Nessuno è felice nel matrimonio”, confessa a un certo punto uno dei co-protagonisti, Eric Bana), ma anche ultimamente positiva. E non è certo un caso che la famiglia sia impersonata, come già proprio nel film precedente di Apatow, dai suoi veri famigliari: la moglie, Leslie Mann, e le figlie, su cui lo sguardo della macchina da presa è questa volta, senza infingimenti, carico di dolcezza. Il modo, anche questo tutt’altro che stupido, con cui si racconta il dietro le quinte dello show business e in generale il lavoro oscuro degli autori che lavorano per comici. Il risultato è un film molto denso e molto imperfetto, che spesso bluffa con lo spettatore giocando con il politicamente scorretto a tutti i costi ma che a ben vedere punta molto in alto: raccontare, anche attraverso la battutaccia, la passione per un lavoro nobile come quello del comico, senza dimenticare anche l’altro lato del palcoscenico, quello incasinatissimo della vita, piena di imprevisti, delusioni e speranze come racconta il finale, questo sì, bellissimo e inaspettato.,Simone Fortunato