La morte di Fabrizio Frizzi, per una emorragia cerebrale all’età di 60 anni, ha emozionato milioni di telespettatori che avevano familiarizzato con il popolare presentatore che da mesi lottava con i postumi di un’ischemia ed era tornato ai suo programmi tv.

Ma Frizzi era legato anche al mondo del cinema. Non tanto come attore, la cui esperienza è legata soprattutto a una sola, per quanto fortunata, serie tv: dal 1999 al 2001 fu infatti il protagonista di Non lasciamoci più, in cui era un avvocato matrimonialista che non voleva saperne del matrimonio e dell’amore, finché si innamorava di un’investigatrice privata (interpretata da Debora Caprioglio). Tanto meno per il cameo, nei panni di se stesso, in Buona giornata di Carlo Vanzina (2012).

Il suo apporto, decisivo, lo diede come doppiatore “esordiente” e apprezzatissimo in Toy Story – Il mondo dei giocattoli (1995), primo lungometraggio della Pixar: davvero riuscita la sua “interpretazione” di Woody, il cowboy gentile ma anche geloso del nuovo “giocattolo” Buzz Lightyear. Ruolo che ricoprì anche nel 1999 e nel 2010 per i sequel Toy Story 2 – Woody e Buzz alla riscossa, e Toy Story 3 – La grande fuga, nonché in spin off e “camei” vocali (nei titoli di coda del primo Cars, per esempio, nei finti spezzoni di film Pixar “reinventati” in chiave di personaggi/auto). La Disney, che distribuiva il film, gli inviò un telegramma – di cui andava giustamente orgoglioso – con il giudizio dei partner americani, che che lo trovavano la migliore versione di un film d’animazione mai realizzata in Italia…

Ma per Fabrizio Frizzi – che negli ultimi anni ebbe anche alcune esperienze teatrali – la conoscenza del mondo del cinema, per lui, era di antica data. Fin da bambino, si può dire. Il padre, Fulvio Frizzi, fu infatti prima direttore commerciale di Euro International Film e poi direttore generale della Cineriz, un vero colosso negli anni 60 e 70 (tra i suoi film, La dolce vita, 8 e ½, la serie di Don Camillo, Fantozzi, Profondo rosso, Un borghese piccolo piccolo, Il bisbetico domato) di proprietà della famiglia Rizzoli. Un mondo cui era, per questo, molto legato: appena poteva, non diceva mai no alle richieste di presentare serate o premiazioni legate alla Settima arte.

 

Antonio Autieri