A sei anni dal grande successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti torna a conquistare le sale con l’atteso Freaks Out, opera a lunghissima gestazione – era in produzione dal 2017 – a causa di ritardi nelle riprese, inevitabili inciampi causati dalla pandemia e imponenti interventi di post-produzione.
Budget da capogiro senza precedenti in Italia e trama folle sono infatti i tratti dell’opera seconda del regista romano, che non abbandona l’allure frenetico che contraddistingue le sue storie e ci catapulta nella Roma del 1943: piena occupazione nazista, i tedeschi brulicano per le strade, povertà e miseria sono ovunque. Resiste il piccolo circo di Israel, anziano ebreo che ha dedicato la sua vita a individuare, reclutare e supportare i migliori artisti circensi in circolazione. Tra loro s’impone il carisma del quartetto composto da Fulvio (Claudio Santamaria), Cencio (Pietro Castellitto), Mario (Giancarlo Martini) e Matilde (Aurora Giovinazzo), personaggi dotati di talenti sovrannaturali che tutte le sere si esibiscono per il loro pubblico; quando Israel viene catturato e il suo circo distrutto, i quattro si mettono alla ricerca del loro amico, provando a sopravvivere alle disavventure che la guerra gli pone davanti.
Film a impronta fantasy con decisi influssi pop, Freaks Out è innanzitutto una storia sulla diversità, sul dramma che tale diversità rappresenta per chi ne è portatore e sulla capacità che quella stessa diversità ha di rivoluzionare le sorti della Storia. I protagonisti sono infatti dichiaratamente freaks, “mostri” che vivono alla giornata e cercano di scamparsela come possono; mandando avanti la propria personale storia inciampano però negli avvenimenti provocati dalla Grande Storia, quella della dominazione tedesca in Italia, che diventa presto palcoscenico delle loro più assurde imprese.
Ma se l’idea di affermare una sorta di rivalsa del diverso nel marasma di un contesto dittatoriale ha del potenziale e l’intrattenimento non manca, caotico e un po’ fuori misura è il risultato ottenuto: privi di un background solido, i protagonisti avanzano atterrando un nazista dopo l’altro, facendo affidamento sulla forza della loro amicizia e sul supporto di qualche alleato incontrato lungo la via. Eccessivamente lunghe e chiassose risultano poi le scene di guerra, che occupano quasi tutta la seconda parte del film e che, abusando degli effetti speciali, non fanno altro che stordire uno spettatore già provato dall’ora precedente di film. Tra uno scontro e l’altro Freaks Out giunge insomma al suo prevedibile happy ending senza particolari colpi di genio, lasciando forse soddisfatti – e un po’ tramortiti – gli occhi del pubblico, ma senza mai davvero raggiungerne il cuore.
Letizia Cilea