Siamo nel 1919, in un paesino della Germania in cui ogni famiglia piange almeno un morto della Grande guerra che ha falciato tante giovani vite. Anna va tutti i giorni al cimitero a trovare Frantz, il fidanzato deceduto al fronte in Francia al cui lutto sembra aver dedicato la sua vita: vive in casa di lui, grazie a genitori affettuosissimi che l’hanno “adottata”; rifiuta altri pretendenti. Un giorno Anna vede uno straniero, per la precisione un giovane militare francese – per tutti un nemico – turbato davanti alla tomba. I suoi primi approcci con la famiglia di Frantz non hanno successo, per l’ostilità dell’anziano padre; ma poi Anna, incuriosita dal ragazzo, gli si avvicina e cerca di sapere cosa lo lega all’amato scomparso. Adrien, questo è il suo nome, è un musicista, vecchio amico dei tempi in cui Frantz studiava a Parigi. Il suo arrivo in paese è accolto da tensioni crescenti, ma la simpatia di Anna e l’affetto di quei poveri, anziani genitori – affranti ma dignitosi –lo conquistano. Ma il timido francese sembra sempre sul punto di crollare: quali fantasmi si porta dietro? Quanto a Frantz, di cui non si è mai trovato il corpo, Anna spera ancora che si trovi lontano ma vivo. Tra lei e Adrien il legame cresce sempre più intensamente, ma presto emergeranno nuove verità…
Passato in concorso a Venezia 2016 e tratto da una pièce teatrale già portata al cinema dal grande Ernst Lubitsch, Frantz è una produzione francotedesca che conferma la passione di François Ozon (al suo sedicesimo film in 18 anni) per il melodramma sentimentale e per le storie piene di misteri, con più di un richiamo ad atmosfere alla Hitchcock (molto caro al regista parigino, che si è ispirato varie volte a lui pur se in contesti molto differenti e “autoriali”: qui viene alla mente, a tratti, La donna che visse due volte). Impaginato in un bianco e nero elegante e cupo con non casuali passaggi al colore (nei rari momenti lieti, spesso confinati al ricordo), il film accumula forse troppe situazioni; e nella parte finale prende una serie di svolte che forse appesantiscono l’equilibrio della vicenda. Ma complessivamente è un ottimo film d’autore. Di un autore che sa parlare al pubblico, suscitando emozioni – il paese dove tutti piangono la “meglio gioventù” finita nella macelleria della guerra – e avvincendo con false piste e ambiguità, tra verità parziali e menzogne più o meno pietose. Se lo stile e la fotografia sono di alto livello, non di meno le interpretazioni di tutto il cast. Ma una parola la merita la coppia di giovani protagonisti: Pierre Niney è un intenso Adrien, ma è straordinaria Paula Beer – premiata a Venezia con il premio Mastroianni come miglior emergente – nei panni di Anna, giovane “vedova” ancor prima di essersi sposata, che sembra granitica nella volontà di sprofondare in un lutto definitivo e al tempo stesso trepidante per un’ipotesi di nuova apertura alla vita.
Antonio Autieri