La prima cosa che colpisce lo spettatore è l’idea originale di creare una famiglia con quattro fratelli adulti dalla pelle diversa, dal carattere totalmente differente, ognuno con una sua vita e una sua storia: c’è l’avanzo di galera, il più giovane dall’aspetto sbandato, il dongiovanni di colore, l’imprenditore preoccupato per moglie e figli. Eppure si vogliono bene, sono una famiglia, e insieme piangono la madre che li ha fatti crescere (la donna si occupava dell’affido dei ragazzi orfani, e i quattro che ha cresciuto sono quelli che non era riuscita ad affidare ad altri), cercando di educarli a dispetto dello squallore dei sobborghi della città. I fratelli sono abituati alla violenza, e il loro desiderio di piangere la madre presto si trasforma in rabbia, allo scoprire che l’omicidio è stata una vera e propria esecuzione, per nascondere una storia di malaffare e criminalità. Il soggetto ricalca un western del 1965 di Henry Hathaway, I quattro figli di Katie Elder, e come un western si comporta, proprio perché ambientato in un luogo selvaggio come la metropoli. Ci sono sospetti, crimini, omicidi a sangue freddo, una sparatoria che sembra infinita e una tensione che sempre sfocia in violenza, che ha sullo sfondo una città fredda e livida e una natura selvaggia. Ma non si può rimanere indifferenti (tanto è resa efficacemente) neanche di fronte alla rabbia dei fratelli, alla frustrazione di chi vede ripagato il bene con la morte.,

Four Brothers
Quattro fratelli adottati (due bianchi, due di colore), si ritrovano a Detroit per il funerale della madre adottiva, uccisa durante una rapina. Scopriranno che l’omicidio non è stato casuale, e scateneranno la vendetta.