La prima cosa che colpisce lo spettatore è l’idea originale di creare una famiglia con quattro fratelli adulti dalla pelle diversa, dal carattere totalmente differente, ognuno con una sua vita e una sua storia: c’è l’avanzo di galera, il più giovane dall’aspetto sbandato, il dongiovanni di colore, l’imprenditore preoccupato per moglie e figli. Eppure si vogliono bene, sono una famiglia, e insieme piangono la madre che li ha fatti crescere (la donna si occupava dell’affido dei ragazzi orfani, e i quattro che ha cresciuto sono quelli che non era riuscita ad affidare ad altri), cercando di educarli a dispetto dello squallore dei sobborghi della città. I fratelli sono abituati alla violenza, e il loro desiderio di piangere la madre presto si trasforma in rabbia, allo scoprire che l’omicidio è stata una vera e propria esecuzione, per nascondere una storia di malaffare e criminalità. Il soggetto ricalca un western del 1965 di Henry Hathaway, I quattro figli di Katie Elder, e come un western si comporta, proprio perché ambientato in un luogo selvaggio come la metropoli. Ci sono sospetti, crimini, omicidi a sangue freddo, una sparatoria che sembra infinita e una tensione che sempre sfocia in violenza, che ha sullo sfondo una città fredda e livida e una natura selvaggia. Ma non si può rimanere indifferenti (tanto è resa efficacemente) neanche di fronte alla rabbia dei fratelli, alla frustrazione di chi vede ripagato il bene con la morte.,