Ci sono fiori che nascono naturalmente insieme. Senza concime e senza intervento umano. Hanno un gambo ma due fiori. Come in Fiore gemello, secondo film di Laura Luchetti che, prima di arrivare nelle sale italiane, ha girato il mondo con l’anteprima mondiale al Festival di Toronto, dove ha vinto il premio Fipresci (ovvero la Federazione internazionale della stampa cinematografica) per poi arrivare anche in Italia ad Alice nella città, la sezione indipendente del Festival di Roma.
Lei è Anna (Anastasiya Bogach), una ragazza sarda dal viso pulito. Ha con sé solo lo zaino e sta fuggendo da qualcosa, da qualcuno. Lui è Basil (Kallil Kone), un immigrato clandestino della Costa D’Avorio ed è arrivato in Sardegna tramite corrieri di trafficanti (gestiti poi dagli italiani Aniello Arena e Mauro Addis). Si incontrano per caso. Si sfiorano. E poi si incamminano insieme, forse, per un nuovo futuro. I livelli temporali sui quali è costruita la storia sono due: il presente rimanda al passato, quello di Anna. L’unica della quale si vuole scoprire il perché della fuga. Di Basil si comprende da subito il suo desiderio, la sua necessità. Di Anna, invece, giovane ragazza italiana, si vuole capire perché non ha più niente tra le mani. Non un affetto, non un riferimento. E in più sorride, si incupisce, ha paura ma non parla mai. Ha affidato alle sue mani e al suo sguardo l’azione e la decisione.
Girato nell’arcaica Sardegna, tra saline, boschi, spiagge primitive, paesi bianchi e stretti, Fiore gemello è davvero un bel film italiano, diverso nella fattura made in Italy e nella costruzione drammaturgica. Potrebbe, ma non lo fa, ricorrere ai facili stratagemmi narrativi per raccontare il dolore di due ragazzi giovani e soli. Lei è bianca, lui è nero, eppure non è un film sulla necessaria integrazione di due mondi diversi, forse opposti, ma alla fine simili. La loro amicizia, che diventa poi naturale storia d’amore, è conseguenza dell’unione di due anime mai arrendevoli che non si accontentano di sopravvivere. Sono fragili, apparentemente senza speranza, eppure la loro debolezza è la loro stessa forza. Perché li rende simili, li rende capaci di guardarsi dentro e di recuperare, l’uno per l’altro, l’innocenza. E la grazia. La stessa che scaturisce dall’amore, terreno narrativo spesso scivoloso, che invece in Fiore gemello diventa generatore di forza.
Una forza che viene sostenuta anche dalla musica di Francesco Cerasi composta di strumenti (intensa, forse a volte troppo, la presenza del violoncello) e di natura. Quella sarda, piena di luoghi arcaici, di una fauna insolita e di una vegetazione dai colori mutanti. I luoghi diventano perciò evocativi di quella libertà che ogni uomo deve conquistare. Non è un caso che il film (che ha un magnifico finale) sia girato anche nel Sud della Sardegna, nell’isola di Sant’Antioco, il cui nome deriva dal patrono sardo che era proprio un martire nero fuggito in Sardegna dalla Mauritania.
Emanuela Genovese