Tutti quelli che entrano a far parte della dinastia dei ricchissimi Le Domas devono partecipare a un gioco di società estratto a sorte. Sembra una cosa innocua, visto che la fortuna della famiglia risiede proprio nell’essere proprietari e inventori di innumerevoli giochi e giocattoli. Può capitare che dal bussolotto vengano estratti la dama, gli scacchi o rubamazzo, cosa che non impressiona la giovane e bella Grace (Samara Weaving), che ha appena sposato Alex Le Domas (Mark O’Brien). Ma quando il gioco che salta fuori è nascondino, le cose cambiano; mentre per tutti gli altri giochi, lo svolgimento è innocuo e naturale, con nascondino scatta un antico rituale (del quale Grace è ovviamente ignara). La famiglia deve catturare chi si nasconde  e sacrificarlo in un orrido cerimoniale prima che sorga il sole, altrimenti a morire saranno tutti i Le Domas. Così i numerosi membri della famiglia danno il tempo a Grace di nascondersi nel luogo che riterrà più opportuno nella grande dimora di campagna; poi impugnano asce, balestre e doppiette e si mettono in caccia.

Più scorre il film, più la complicata genealogia della famiglia prende il sopravvento sulla semplice trama e il film, girato molo elegantemente in uno stile che ricorda Shining o Eyes Wide Shut, riesce a mantenere una propria originale identità che riporta comunque ai classici dell’horror degli anni 50 girati in magioni opulente e minacciose. Ironico anche se non comico, Finché morte non ci separi si regge sulla bizzarra arbitrarietà della mitologia della ricca famiglia e delle sue regole (cui peraltro altri membri acquisiti della famiglia non sembrano neanche credere): perché usare ancora frecce e balestre (che infatti causano una serie di maldestri omicidi del personale di casa)? Perché non si può usare il sistema di telecamere interne per trovare subito Grace invece che vagare per le innumerevoli stanze?

I registi usano la violenza e i grotteschi omicidi per  suscitare il sorriso o la risata, ma non sempre il giochino è sostenuto, come vorrebbero, anche da dialoghi e battute, che risultano a volte inadeguati. Nel finale il film ha uno scatto, nel quale l’escalation horror trova il compimento della trama, anche se la conclusione paradossalmente riduce un po’ il significato di tutto lo spargimento di sangue che lo ha preceduto.

Beppe Musicco