È un esordio, quello di Nicolangelo Gelormini, che punta in alto e con Fortuna costruisce due storie parallele e speculari al cui centro vive una bambina con due nomi, due madri, ma un solo terribile segreto che ha portato a questo sdoppiamento: una forma di difesa di fronte all’orrore dell’abuso. Che il regista non mette mai sullo schermo, ma fa percepire attraverso il racconto fantastico di un pianeta lontano e di mostruosi giganti, attraverso l’uso di suoni disturbanti che irrompono sullo schermo a segnare la dissonanza rispetto a un mondo popolato di figure ambigue. Valeria Golino interpreta sullo schermo prima la madre e poi la psicologa della piccola Fortuna, che vive in un palazzone di periferia (il riferimento sono gli edifici squallidi del Parco Verde di Caivano dove trovò la morte Fortuna Loffredo) e con due amici inventa un mondo alternativo per coprire una realtà che non è tanto quella della miseria, ma dell’omertà che copre la violenza sui più piccoli. A tratti faticoso, un po’ sovraccarico nella forma e nell’estetica, il film ha però la forza di uno sguardo, quello della giovanissima protagonista interpretata da Cristina Magnotti, che inchioda lo spettatore a un orrore nascosto, mascherandolo sotto gli stilemi della fiaba, lasciandogli la responsabilità di decifrare simboli e personaggi.
The Jump della documentarista lituana Giedrė Žickytė, ripercorre – attraverso le parole del suo protagonista – un episodio straordinario e forse oggi un po’ dimenticato della Guerra Fredda. Nel 1970, durante un incontro per definire i diritti di pesca nell’Atlantico tra marina statunitense e russa, un marinaio sovietico di nazionalità lituana salta sull’imbarcazione della Guardia Costiera statunitense e chiede asilo politico. Per una serie di circostanze imprevedibili, la catena di comando americana si inceppa, così il marinaio viene restituito alle autorità sovietiche e finirà arrestato, processato e spedito in un Gulag. Da quel momento in poi, però, la comunità lituana americana inizia una lunga battaglia politica per la sua libertà, poi ottenuta con un intervento personale del presidente Gerald Ford. La vicenda di quel salto e di quella lotta è l’oggetto di un documentario impegnato e impegnativo, che si affida soprattutto alla voce del protagonista della vicenda, ormai anziano, per raccontare l’anelito insopprimibile alla libertà e l’orrore del regime, la forza della lotta collettiva e la scoperta, attraverso gli occhi del suo protagonista, di un mondo di opportunità che noi spesso tendiamo a dare per scontato. Una vicenda personale e le sue conseguenze assurgono così a termometro di un’epoca divisa tra manifestazioni di forza e inaspettati successi diplomatici, dove l’atto di coraggio di un singolo può davvero essere la miccia dell’azione di molti altri.
Esordio alla regia dell’attrice tedesca Famka Potente, Home ha il sapore di certi racconti sconsolati della provincia americana, dove i destini si compiono ineluttabili all’ombra di portici scrostati, in case disordinate che riflettono vite perdute. La storia è quella di Marvin Hacks, che torna quarantenne alla sua cittadina natale, dopo aver scontato quasi venti anni di galera per aver ucciso a calci un’anziana vicina. Torna ad accudire la madre, malata terminale di cancro, ma anche per fare i conti con il suo passato e prendersi la responsabilità delle sue azioni. Non è facile ricominciare da capo in un posto dove tutti sanno quello che ha fatto e la famiglia della defunta gliel’ha giurata. Senza mettere in scena azioni eclatanti, ma seguendo amorevolmente il tentativo disarmato del suo protagonista, Home sceglie di raccontare del tempo irrimediabilmente perduto, ma anche di una redenzione possibile, attraverso l’amore, la dedizione e la fede, talvolta cedendo a qualche scorciatoia narrativa e sentimentale, ma molto ben servito dai suoi interpreti, tra cui l’ottima Kathy Bates nei panni della madre di Marvin.
(3 – continua)
Luisa Cotta Ramosino
Nella foto: Valeria Golino in Fortuna di Nicolangelo Gelormini