Inizio adrenalinico, con due poliziotti in moto che – come falchi che attaccano una preda – inseguono uno scippatore e poi lo pestano a sangue. Usano metodi spicci e la legge come una clava, Francesco e Peppe. Coperti dal capo della Squadra Mobile di Napoli, Marino: che però viene indagato per corruzione ed esce presto di scena. Nella lotta contro il crimine – piccoli delinquenti, camorristi protetti dal popolo, cinesi che ambiscono a imporre un nuovo potere – sono duri, ma dentro di loro le fragilità non mancano: Francesco si dibatte in una crisi (che cerca di alleviare con droghe varie), dovuta a un caso precedente finito per colpa sua in tragedia; Peppe, altrettanto solitario, sfoga le nevrosi addestrando cani da combattimento.

Toni D’Angelo, al suo terzo film di finzione (il suo esordio, Una notte, gli valse la candidatura come miglior esordiente ai David di Donatello), ha qualità da regista di film d’azione, di sapore internazionale: sarà per gli anni da aiuto regista di Abel Ferrara, sarà per la sua formazione cinefila – per il cinema asiatico, soprattutto, come si vede dagli evidenti omaggi, tra gli altri, al primo John Woo e a Johnny To – ma il suo è un cinema che sta stretto nei canoni della nostra produzione, pur se calato fortemente nella realtà napoletana. Come dimostra la presenza di Fortunato Cerlino, alias Pietro Savastano della serie Gomorra. In effetti, al netto di qualche virtuosismo eccessivo, nella gestione dello spazio e dell’azione D’Angelo dà il suo meglio; e una certa suspense è innegabile, man mano che l’intreccio si sviluppa e si attorciglia (c’è la love story con una giovane cinese sfruttata, che Francesco prende sotto la propria protezione; c’è una donna matura che sembra nutrire simpatia per Peppe; ci sono tradimenti, ostacoli, pericoli per i due poliziotti). Aiuta anche la fotografia – anche se un po’ troppo cupa – di Rocco Marra e il montaggio di Marco Spoletini (collaboratore fisso di Matteo Garrone, compreso il Gomorra cinematografico).

Il punto debole è la costruzione dei personaggi, non troppo curata e abbastanza schematica (soprattutto il Francesco di Michele Riondino, una sigaretta via l’altra, simile a tanti altri personaggi già visti rosi da sensi di colpa), affidata a troppi momenti di silenzi e meditazioni che spezzano il ritmo dell’azione ma non riescono a farci affezionare davvero ai personaggi. Quelli più sorprendenti sono quelli laterali, affidati a due grandi attori come Pippo Delbono (sontuoso il suo commissario, lucido nella sua disperazione) e Stefania Sandrelli, appena abbozzata ma già riconoscibile come tipo umano. Serviva una scrittura più solida (anche per i dialoghi), e puntare al tempo stesso con maggior decisione sulla sfida di realizzare, finalmente, un vero film d’azione italiano; un onesto B-movie che non si vergogna di esserlo. E il finale ricorda troppi modelli noti per non sembrare solo un collage di citazioni. Invece qualche incertezza di fondo e qualche ambizione autoriale di troppo intorpidiscono il risultato di quello che rimane comunque un interessante esperimento di genere, da proseguire con una struttura e una storia più forte.

Antonio Autieri