Furono Tim Rice e Andrew Lloyd Webber che portarono per primi la storia di Evita a teatro nel 1978. Le stesse musiche le ritroviamo nel film, più un nuovo brano che Andrew Lloyd Webber compose appositamente per la versione cinematografica, cantate dalla dolcissima voce di Madonna che sfodera un’eccellente espressività e versatilità: la star infatti non solo recita cantando nelle vesti dell’eroina nazionale argentina, ma balla anche con eleganza e stile.
Il regista Alan Parker, che ha diretto anche il conosciutissimo Saranno famosi, ha sempre avuto un particolare interesse per la musica (sporadicamente interpreta anche ruoli minori, come accade anche qui nei panni di un regista quando Eva Duarte vuole fare l’attrice). In questa pellicola dà il via alla narrazione con l’accostamento di due cerimonie funebri: quella di Evita stessa e quella di suo padre. Il primo, quello della first lady, è un funerale di Stato sontuoso e solenne dove lei viene osannata da tutto il popolo, venerata come “guida spirituale”. Eva riceve, distesa in una bara di cristallo, il tributo di una processione infinita di pellegrini che le danno l’estremo saluto sulle note del capolavoro di Webber “Don’t cry for me Argentina”, fondendosi con un sommesso “Salve Regina, Santa Evita Peron” (si potrebbe pensare a un gioco di parole, visto il nome d’arte di Veronica Ciccone: e per questo in effetti ci furono critiche in Argentina, per la scelta dell’attrice protagonista) attribuendole un odore di santità che, lungi dall’essere dissacrante, interpreta il sentire popolare della sua gente (la cui devozione per Evita è tale da aver portato alla sua scelta, nel 2010, come simbolo per rappresentare l’indipendenza argentina). Il funerale del padre, di contro, è misero e squallido, avvenuto quando lei era ancora una bambina, figlia illecita emarginata dalla famiglia legittima del padre, al punto da essere strappata via di forza dalla sua bara. Condizione questa, delle umili e disprezzate origini, dalla quale si snodano tutte le successive due ore abbondanti di pellicola – quasi interamente cantate in inglese – che tessono l’immane tentativo di rivalsa di questa figlia della terra argentina per conquistarsi una vita migliore sul palcoscenico del mondo. Prima per sé, in seguito anche per il suo popolo.
Alla visione così aulica del funerale di stato si contrappone la figura rivoluzionaria del Che Guevara, rivisitato e posto come voce critica. Un cantastorie fuori dal coro, impersonato da un Banderas credibilissimo che con il suo sguardo profondo si rivolge allo spettatore in prima persona ponendo un quesito drammatico: la vita di questa donna è stata davvero esemplare? Oppure è stata solo il grande show di una primadonna, di un’arrampicatrice sociale che ha usato gli uomini (sempre più importanti e sempre più utili alla sua ascesa) come pioli di una scala per il suo successo? La chiave di lettura sta tutta in questo sguardo critico del Che (immutato fisicamente nel corso degli anni, salvo qualche cicatrice post-rivoluzione, a differenza di Eva che cambia look in continuazione). Un “match” tra la semplicità popolare e la superbia borghese che si dipana con ambivalenza a partire dalla vita della protagonista e raggiunge il suo apice nel virtuale ballo tra i due antagonisti: Eva (che ha assunto il nome di Evita, cioè “Piccola Eva”, consegnatole dal popolo) e il Che; incontro che fa scaturire l’unico istante di genuina sincerità nel quale Eva Maria Ibarguren Duarte si guarda come allo specchio della propria anima e, con un breve ma intenso faccia a faccia con se stessa e col suo Creatore, fa il punto della propria vita.
Notevole la densità espressiva in tutto il film, iniziando dalla colonna sonora degna della migliore tradizione operistica: tanti i temi musicali riuscitissimi – ciascuno un capolavoro a sé – che si fanno amare dallo spettatore riproponendosi nell’arco della visione con testi diversi. Espressiva anche la danza, dal malizioso samba di Buenos Aires al tango mesto del giorno della morte, spogliato da ogni velleità sensuale, assurto a fraseggio popolare nella muta ricerca di consolazione e speranza, intessendo con i passi della danza quel lamento che la voce umana non sa pronunciare. Il popolo argentino è un altro grande protagonista, non solo nella danza della tradizione nazionale e nella religiosità umile, ma anche e soprattutto nei volti delle comparse, nelle lotte, nella storia di tante persone che fuori dalla Casa Rosada (che è stata concessa come set per girare la scena al balcone) aspettavano e acclamavano la coppia presidenziale caricandola di aspettative.
Se c’è un qualcosa che non soddisfa pienamente è forse la costruzione delle vicende storiche, appena abbozzate: il terremoto che colpì l’Argentina nel 1943, il licenziamento a cui fu costretto il colonnello Peron (interpretato da Jonathan Pryce, con un ruolo un po’ pacato, che fa risaltare ancor più il carisma della moglie) a causa della sua relazione con Eva, il carcere e il rilascio del Colonnello, il matrimonio, il Peronismo, la simpatia per Mussolini e la Fondazione benefica; perfino la malattia durante la quale Evita viene emarginata dal marito che non ne sopporta la vista è intuibile solo da chi ne conosce già la storia. Maggiore spazio viene concesso al colpo di Stato che portò Peron al potere, alla rivoluzione dei descamisados (efficace la marcia in maniche di camicia per le strade dell’Argentina, quasi un manifesto della rivoluzione sociale in atto negli anni 40), all’ostilità della borghesia e dei poteri militari. La scelta, lo si capisce, è stata doverosa per non appesantire troppo una pellicola che predilige i sentimenti e gli stati d’animo dei personaggi, piuttosto che concentrarsi sugli eventi storici o politici. La ricostruzione degli ambienti interni ed esterni invece è ineccepibile , con scelte scenografiche felicissime, così come lo sono i costumi e le elaborate acconciature femminili.
Imperdibile soprattutto per chi ama il genere musicale, godibile appieno per chi conosce bene la lingua inglese e può fare a meno dei sottotitoli (anche se sarebbe stato interessante girarlo in spagnolo), Evita resta comunque soprattutto un ottimo film, che si fa ricordare e riguardare sempre con piacere.
Lorella Franchetti