Confine tra Bulgaria e Turchia: Kamal è un giovane iracheno che sta cercando di entrare in Europa a piedi. Venduto da trafficanti, braccato dalla polizia bulgara, in fuga in un’intricata foresta che sembra diventare una trappola, Kamal porta con sé uno zaino con pochi documenti e tanta speranza di riuscire ad arrivare in Europa.
Presentato a Cannes in una sezione autonoma antica e prestigiosa, la Quinzaine des Réalisateurs, Europa è un film di produzione e concezione italiana (comprese le location utilizzate,tra Toscana e Lazio), come il regista: Haider Rashid infatti è nato a Firenze nel 1985 da padre iracheno, alla cui storia si è ispirato, e madre italiana. Con una buona produzione di documentari alle spalle e qualche film di finzione poco visto, Rashid realizza un film “immersivo”, quasi in virtual reality (ma senza uso di visore), in cui il protagonista Adam Ali è un ragazzo in fuga perennemente con gli occhi sbarrati e con l’angoscia di essere catturato dai “cacciatori di migranti”. Kamal è infatti uno dei tanti disperati di quella tragedia contemporanea che è in atto ormai da parecchi anni e che miete vittime su vittime, in questo caso sulla rotta balcanica.
Ma se l’intento di parlare con efficacia di questo tema è lodevole e l’idea di farci immedesimare nel protagonista è comprensibile (anche per inventarsi un approccio il più possibile originale), per accentuare tensione e preoccupazione per le sue sorti, il risultato non convince appieno. In una maniera che ricorda – alla lontana – il premio Oscar 2015 Il figlio di Saul (gran film, ma che lasciava comunque qualche sospetto di compiacimento), Europa nei suoi 75 minuti scarsi ci fa sentire urla, vedere (pochi) incontri e scontri, percepire l’angoscia e vivere una continua corsa a perdifiato. Sempre stando addosso al protagonista, di cui sappiamo pochissimo. Ma di vero Cinema ce ne mostra poco (dialoghi, meno ancora), rischiando paradossalmente di respingere e perfino di annoiare, nonostante i continui colpi allo stomaco. Un po’ di narrazione in più è chiedere troppo?
Luigi De Giorgio
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