In Esterno Notte – Parte 2 continua il racconto del tragico rapimento dello statista Dc Aldo Moro nel 1978. Il racconto di quei drammatici 55 giorni – dal 16 marzo al 9 maggio – attraverso gli sguardi dei protagonisti.
Esterno Notte che – lo ricordiamo – è una serie Tv di sei puntate per sei ore complessive di durata che Marco Bellocchio dedica a una delle pagine più buie della storia italiana, nella sua prima parte aveva visto come protagonisti i personaggi di Aldo Moro (Fabrizio Gifuni), Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi) e Papa Paolo VI (Toni Servillo). In questa seconda parte lo sguardo del regista si posa sulla brigatista Adriana Faranda (Daniela Marra), su Eleonora Moro (Margherita Buy) per tornare di nuovo su Aldo Moro nell’epilogo finale.
Pur senza fare il racconto cronachistico di quelle settimane, emerge chiaramente il tema del confronto tra i fautori della linea dura rappresentata dalla Dc e i favorevoli a trattare per la liberazione dell’ostaggio tra i quali, ovviamente, la famiglia. In questa seconda parte, infatti, a emergere è la solitudine e l’impotenza dei parenti di Moro. Su tutti si staglia la figura della moglie dello statista, Eleonora, magistralmente impersonata da Margherita Buy, forse in uno dei suoi migliori ruoli in carriera. Bellocchio ne fa una figura forte, orgogliosa e fragile allo stesso tempo; punto di riferimento per i figli e donna determinata e diffidente rispetto al potere rappresentato dagli amici di partito del marito. Il regista mette senza mezzi termini sul banco degli imputati la Democrazia cristiana disposta per vocazione a ogni compromesso ma indisponibile verso Moro, come dice in una scena chiave la stessa Eleonora. Accuse ripetute nella parte finale dallo stesso statista al prete che, nel covo, lo confessa. Un Moro furente con i suoi ex compagni di partito – soprattutto Giulio Andreotti – e che si ribella alla sua sorte: «Non accetto di dover morire. In un Paese che ha abolito la pena di morte, io sono invece un condannato a morte».
Convince meno la parte dedicata ad Adriana Faranda, non tanto per l’interpretazione intensa di Daniela Marra, quanto forse perché è stato difficile anche per regista e sceneggiatori provare a calarsi nella mente di persone che hanno architettato un crimine così estremo. Singolare comunque la scelta di focalizzarsi su una brigatista che, pur avendo fatto parte della colonna che ha architettato il rapimento, non è mai venuta in contatto con l’ostaggio; viene descritta come la rivoluzionaria del gruppo – che ha abbandonato la figlia pur di perseguire i suoi folli ideali – ma anche come colei che avrebbe visto con favore la liberazione dell’ostaggio. Prima del drammatico epilogo, Marco Bellocchio immagina un altro finale con la liberazione di Moro (come in Buongiorno, notte sempre dedicato da Bellocchio a Moro nel 2003) che risulta però sostanzialmente inutile (e anche fastidioso) nel complesso di un’opera che coinvolge emotivamente lo spettatore e ha il merito di farci immergere in un’epoca storica che rischiamo di dimenticare e che i più giovani rischiano di non conoscere.
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