Il narcotrafficante colombiano Pablo Escobar viene spesso raccontato nel cinema e televisione recenti: dalle opere che ne fanno l’indiscusso protagonista, come la serie tv Narcos o il film Escobar di Andrea Di Stefano, a “cameo” significativi come Barry Seal con Tom Cruise. Ora arriva questo film di Fernando León de Aranoa che ha debuttato a settembre 2017 fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia. Il regista racconta l’ascesa irresistibile, dall’inizio degli anni 80, e la caduta del boss, “buon padre” di famiglia – ai figli insegna a non toccare la cocaina ddi cui è il massimo produttore… – e marito affettuoso (ma anche fedifrago), legatissimo ai suoi uomini pronto a far pagare con il sangue errori, sgarri e tradimenti, desideroso di una carriera politica. Qui a interpretare Escobar c’è Javier Bardem, star planetaria e attore talentuoso che regge bene la parte tra gaglioffaggine “paciona” e atteggiamenti sinistri e minacciosi. Ma Bardem si confronta con un personaggio ormai interpretato (molto bene) da anni da Wagner Moura nella già citata serie Narcos. E anche con il gigantesco Benicio Del Toro del film di Di Stefano, di cui non arriva a raggiungere la potenza luciferina. Molto meno convincente, però, è Penelope Cruz (sua moglie nella vita) nei panni vistosi della giornalista-star della tv in Colombia degli anni 80 Virginia Vallejo, che dopo un’intervista al boss divenne suo oggetto del desiderio e poi sua amante. Con conseguenti scenate di gelosia della moglie e vane promesse di fedeltà di Escobar, ma anche una passione sempre più travolgente e “stabile” con la star dell’informazione televisiva colombiana. Ma quando la CIA la punta come il tallone d’Achille del narcotrafficante che, oltre a una ricchezza smisurata, puntava al potere politico, per lei quella che era una favola di successo e di privilegi (chiudendo gli occhi su quello che le avveniva intorno) diventa un angosciante dilemma: rischiare la galera o di collaborare con la giustizia americana (in particolare con l’agente Shepard, interpretato da Peter Sarsgaard) per farlo catturare ma rischiando ogni giorno la pelle?
Loving Pablo, che riprende il titolo del libro (Loving Pablo, Hating Escobar ovvero Amando Pablo, odiando Escobar) scritto dalla giornalista in cui raccontò la loro relazione e che esce ora nelle sale italiane con il titolo poco originale Escobar – Il fascino del male, è un film professionale e complessivamente efficace ma poco sorprendente, anche se alcune scene rimangono impresse (le più violente: come la tortura a morte di un poveretto legato insieme a un cane che viene bastonato per farlo imbestialire). A Venezia, nella versione originale, disturbava parecchio che una storia così sudamericana fosse girata tutta in inglese (sentir parlare Escobar/Bardem e gli altri personaggi sudamericani con linguaggio anglofono, sia pur se con forte accento ispanico, dava a volte un involontario effetto comico). È normale, serve a farlo circolare in tutto il mondo come avviene normalmente per i grandi film internazionali: ma per una volta, il doppiaggio non peggiora ma anzi migliora il film, perché fa appunto sparire questo linguaggio fastidiosamente fasullo. Soprattutto, però, il film non aggiunge molto né alla biografia di un criminale così “corteggiato” dal cinema né al genere action e sottogenere di appartenenza dei film sui narcotrafficanti colombiani.
Antonio Autieri
https://youtu.be/F3tk78OQvj4