Christopher Paolini non era ancora sedicenne quando pubblicò a sue spese “Eragon” primo libro di oltre 500 pagine di una trilogia sui draghi e i loro cavalieri. A questo ha fatto seguito il secondo tomo, “Eldest”, mentre il terzo è in arrivo. La storia narra del regno di Algesia, una volta governato benignamente dai cavalieri di draghi, finché uno di loro, Galbatorix (John Malkovich), prese il potere sterminando tutti gli altri cavalieri e i loro destrieri alati. Eragon è solo un giovane contadino, ma avendo trovato l’ultimo uovo di drago, al suo schiudersi diventerà cavaliere, ponendo le condizioni della disfatta di Galbatorix, grazie all’aiuto di Brom (Jeremy Irons), una specie di mendicante/cantastorie, a suo tempo anch’egli cavaliere dei draghi. Il film si ispira smaccatamente, da un punto di vista narrativo e scenografico a “Il Signore degli Anelli”, di cui Paolini è un fervente adepto, ma il problema è che, purtroppo Paolini non è Tolkien e Fangmeier (creatore di effetti speciali passato alla regia) non è neanche lontanamente assimilabile a Peter Jackson. Tutto l’inizio del film, che spiega la caduta dei cavalieri dei draghi e il dominio di Galbatorix, vorrebbe evocare l’atmosfera cupa e oppressiva dell’inizio del romanzo di Tolkien quando descrive il regno di Mordor e la resistenza dei pochi buoni al male imperante; ciò nonostante, malgrado il regista cerchi di seguire quanto più possibile il libro, manca quel ritmo narrativo, quel senso del mistero, quella poesia con i quali Jackson è riuscito a restituire la “magia” del Signore degli Anelli. Forse complice anche la brevità del film (meno di 2 ore per 500 pagine sono decisamente poche), la storia procede col tasto di “avanti veloce”. Eragon in cinque minuti, da contadinello che era: trova l’uovo, assiste alla nascita del drago Saphira (in realtà è una draghessa), lascia la famiglia, impara la lingua degli elfi, diventa un abile spadaccino e si scopre eroe designato; il tutto senza che sembri neanche lontanamente di essersi meritato alcunché. Non aiutano lo svolgimento del film i dialoghi, che più che semplici sono banali, e neanche il lussuoso cast. A parte Edward Speelers (un sosia di Mark Hammil che pare ingaggiato a cottimo), John Malkovich si limita a digrignare qualche battuta, Robert Carlyle più che un cattivo fantasma appare come un fan di Marilyn Manson e Jeremy Irons compensa con la abituale presenza scenica la pochezza delle sue battute. Da “Eragon” la 20th Century Fox aspetta gli esiti per decidere se mettere in cantiere il sequel. Siamo curiosi di vedere quale sarà il verdetto del pubblico.,Beppe Musicco